I 90 anni di Maigret

Un anniversario, uno spunto. Novant’anni fa, nell’estate del 1931, usciva il primo romanzo di Simenon con il commissario Maigret («Monsieur Gallet, décédé», anche se il primissimo fu «Pietr Le Letton» che però venne pubblicato dopo). Milioni di nuvole hanno solcato i cieli mutevoli sopra Parigi in tutti questi decenni ma il commissario Maigret, massiccio e rassicurante, sta sempre lì. Eterno. Sono più di cento i romanzi e racconti che Georges Simenon ha dedicato al commissario (da aggiungere naturalmente alle decine e decine di romanzi d’altro contenuto). Perché Maigret è un grande personaggio della letteratura? Intanto, c’è il metodo deduttivo, intuitivo, usato da Jules Maigret, commissario capo della Police Judiciaire della città di Parigi fra gli anni ’30 e gli anni ’70 del Novecento, nelle sue indagini: sondare l’imprevedibile traccia di enigmi psicologici, morali e reattivi della natura umana per arrivare al nocciolo delle verità. Maigret cerca di capire, lavora a tutto tondo fra intuizioni psicologiche e percezioni sensitive. Cerca il colpevole e poi lo affida alla Giustizia, spesso con una ombrosa e rispettosa compassione. La vera forza del fascino degli oltre cento «Maigret» sta però nella narrazione pura, nella presa diretta sulla vita. E Maigret sta totalmente, quotidianamente dentro la vita. Robusto, dal carisma ruvido, aggrottato, pipa sempre alla bocca o in mano, Maigret è da sempre sposato senza figli con madame Maigret, la quale in cima alle scale della loro abitazione in Boulevard Richard Lenoir, quando lui arriva davanti alla porta lo precede ogni volta socchiudendogli l’uscio, di là dal quale c’è profumo d’arrosto. È come se Simenon (dalla vita sentimentale complicata, bulimico con le donne, rapporti difficili con i figli) abbia voluto creare con Maigret un suo alter ego a rovescio, con la nostalgia di non poter essere come lui, se non per la passione per la pipa, la birra alla spina, la buona cucina e il mistero del cuore umano.
Al contrario di Simenon Maigret è graniticamente monogamo, fedele da sempre alla discreta signora Maigret in modo quieto e definitivo. I due Maigret una volta alla settimana vanno a piedi al cinema, tenendosi a braccetto, e una volta al mese cenano (in casa, alternando gli inviti) con una coppia di amici, il dottor Pardon e consorte: dopo cena i due uomini talvolta ragionano su un «caso» del commissario bevendo grappa di prugne e intanto le due signore, a bassa voce, si scambiano ricette di cucina sorbendo il caffè. Sul lavoro, Maigret ha un rapporto d’autorità brusca e paterna con la squadra dei suoi ispettori, devoti al capo: lo ammirano, gli ubbidiscono e ne sopportano gli umori e gli enigmi, quando lui si arrovella in silenzio dentro le volute del fumo della pipa. Ma poi Maigret vuol dire soprattutto, e alla grande, Parigi (alcuni romanzi si svolgono lontano dalla capitale francese, ma sono un’eccezione, una vacanza narrativa). Maigret appartiene a Parigi, al suo impasto di umanità, luci, odori, strade (la traccia rimane anche oggi, Parigi è sempre Parigi): le sue stagioni, i boulevards animati e i «cafés», le portinerie abitate allora da donne «conçierges» umorali, chiacchierone o scostanti, detentrici di pettegolezzi e indizi sui segreti drammatici o meschini che le case nascondono. Maigret naviga nell’aria di Parigi e la fende: scorci, odori di nebbie e piogge e limpidezze di nuove stagioni con nuove foglie lungo i boulevards, e quel misto di cognac, birra e fumo nei bistrot che sono tane di umanità febbrile o ammaccata, e la mitica Brasserie Dauphine (nella piazzetta triangolare dietro la sede della Police Judiciaire) dalla quale Maigret si fa portare birre e sandwich su nel Palais nel corso dei lunghissimi interrogatori (bonari e drammatici, decisivi) dentro l’ufficio pieno di fumo di pipa e, d’inverno, con il buon odore della vecchia stufa a legna. E poi i lenti battelli sulla Senna, la stanca eccitazione della vita notturna a Pigalle, le eleganti targhe di ottone di professionisti che nascondono vizi e segreti privati, i granelli di sapienza di personaggi balordi e marginali, la fiacca tristezza di prostitute che riescono a non mettere in vendita la dignità, i confidenti ambigui della polizia, l’allegria dei tram, il primo sorso di una birra nei primi giorni di un aprile che rinnova un’altra volta Parigi, il mondo, la vita.