I brividi di una strage mancata

L'EDITORIALE DI GIANNI RIGHINETTI
Gianni Righinetti
12.05.2018 06:00

di GIANNI RIGHINETTI - Quella foto che ritrae lo studente diciannovenne della Scuola di commercio di Bellinzona con un Kalashnikov sulla spalla destra, il caricatore inserito e l'indice sul grilletto è inquietante. Non è il fermo immagine tratto da un film da guardare al cinema con una confezione di pop corn o sul divano di casa con una fresca birra, ma è stata la realtà della classe o della classe accanto per diversi nostri ragazzi che da tutto il cantone convergono tutte le mattine verso la sede scolastica della capitale. Chi ha potuto vedere la fotografia non «pixelata» dello studente ha scorto il volto di un giovane con le tempie rasate, poca barba, sopraccigli folti, bocca chiusa e volto determinato, un viso rabbuiato da chissà quali pensieri e chissà quale vissuto. Un fisico asciutto, vestito con tanto di camicia bianca, cravatta e blazer nero.

Ora il maggiorenne si trova ricoverato in una clinica psichiatrica. Saranno l'inchiesta e le perizie a dire di più su quanto intendeva fare. Ma il solo pensiero del fucile AK-47 sotto l'ascella ci fa correre un brivido lungo la schiena. Lui, stando ad alcune indiscrezioni, si è difeso dichiarando: «Non volevo compiere una strage»; ma ci sono indizi che portano ad un piano ben preparato. Una lista di nomi e cognomi, bersagli mirati messi nero su bianco, alunni e docenti di quella scuola cantonale, che erano finiti mentalmente nel suo mirino. Una scadenza ben determinata: martedì 15 maggio, non un giorno qualunque, ma giorno d'esami alla Commercio. Quello poteva essere un tragico giorno di sangue in Ticino. Scrivendo queste parole ci viene la pelle d'oca, il cuore prima palpita, poi rallenta. Ma non è una sensazione di normalità, bensì solo di pericolo scampato. Sì, diciamolo, siamo stati fortunati. Il plurale è voluto, pensando alle famiglie che chissà se un giorno sapranno che per i loro figli un compagno di scuola aveva abbozzato un disegno di sangue e morte.

Se oggi possiamo parlare di una strage sventata è grazie a chi ha saputo cogliere i preoccupanti segnali comportamentali nei rapporti personali, ma anche quelli lanciati nella Rete e che (per fortuna) restano indelebili. Come la foto con l'arma. Che sia vera o una riproduzione da softair la sostanza non cambia: la ventina di armi da fuoco trovate a casa del giovane sono un dato di fatto. Come l'esaltazione, reiterata, del secondo emendamento della Costituzione americana che garantisce il diritto di possedere armi. Sia ben chiaro: questo non è un reato a prescindere, ma il fanatismo manifestato sui social non può lasciare nessuno indifferente alla luce di ciò che stava per accadere. Come pure il recente acquisto di munizioni e l'esercitazione in uno stand di tiro privato. Tanti, troppi indizi.

Oggi possiamo tirare un sospiro di sollievo, anche se rimangono l'incredulità, lo smarrimento, la paura. Tiriamo un sospiro di sollievo grazie a chi, nella scuola, ha alzato le antenne e non ha sottovalutato né tantomeno ignorato gli inquietanti segnali. E anche grazie al pronto intervento delle autorità scolastiche e della polizia.

Ieri la Commercio di Bellinzona ha fatto quadrato, i ragazzi sono stati seguiti e aiutati, dopo l'attivazione del Gruppo cantonale per la gestione delle persone pericolose è scattata l'ora del supporto, in gruppo o anche a titolo individuale per chi ne sentiva necessità. Provare sulla propria pelle la paura e lo smarrimento che ha certamente generato quel comunicato congiunto della Polizia cantonale e del Ministero pubblico di giovedì sera alle 18 può lasciare segni che non vanno sottovalutati. La reazione che ha saputo dare quella scuola a titolo preventivo fa credere che la comunità sia forte, il dialogo franco e aperto. Agli interrogativi dei ragazzi spaventati («Dobbiamo avere ancora paura?», «Aveva dei complici?», «Tornerà a scuola?») deve essere data una compiuta, rassicurante, ferma risposta.

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