I due fronti sguarniti del terrore

Gerardo Morina
Gerardo Morina
18.09.2012 06:00

di GERARDO MORINA - Sarebbe da ingenui pensare che il risveglio del terrorismo islamico registrato negli ultimi tempi sia dovuto a un film contro Maometto, del quale sono stati diffusi su YouTube alcuni spezzoni da un gruppo di cristiano-copti di Los Angeles. Il film non è, ovviamente, che il pretesto e nello stesso tempo l?esca che serve a una parte estremista del mondo arabo a fare prepotentemente avvertire la sua presenza. Le manifestazioni nelle piazze arabe, gli assalti alle rappresentanze diplomatiche e l?assassinio dell?ambasciatore americano in Libia nascondono una realtà nuova che rappresenta, soprattutto se si consolidasse, il primo dei due fronti sguarniti di cui risente l?Occidente e, più in generale, il mondo non musulmano. È una realtà che ha una genesi ben precisa in quanto coincide con una svolta di indubbio rilievo avvenuta da poco nella galassia multiforme del terrorismo islamico. Ciò che è sostanzialmente cambiato è che i fondamentalisti islamici radicali conosciuti come «salafiti» dal nome del loro ispiratore si sono fusi quasi a costituire un corpo unico con quell?idra dalle molte teste che risponde ancora al nome di Al Qaeda. La saldatura dei due anelli è stata paradossalmente resa possibile dal clima di migliorata e ampliata libertà creatosi in seguito alla caduta dei regimi autoritari arabi, quasi a dimostrazione che il laicismo politico è un ideale contrario e forse impossibile da realizzare rispetto al concetto di democrazia, almeno come è inteso in Occidente. Il risultato è un?esplosione ideologica di anti-americanismo e risentimento anti-occidentale i cui moventi non sono difficili da rintracciare. Il terreno fertile è rappresentato dalla povertà, dall?emarginazione, dall?insoddisfazione economica e dall?arretratezza avvertiti anche nei Paesi arabi dove sono stati defenestrati i dittatori. Tali disparità sono rese più evidenti dai termini di confronto proprio con i modelli americani e occidentali che oggi l?estremismo islamico condanna e combatte. Secondo l?editorialista del «New York Times» Thomas Friedman, alla base dei movimenti libertari arabi c?era molto di più. C?era e c?è quella esigenza di prosperità economica e di maggiori consumi che già a suo tempo, osserva Friedman, aveva costituito la miccia della rivolta contro il comunismo in Unione Sovietica e nei Paesi dell? Europa dell?Est. Il meccanismo allora diventa automatico. Ai dimenticati della Storia i nuovi movimenti estremisti arabi presentano non solo la ricerca di maggiore disponibilità di beni materiali ma anche i valori laici e liberali di cui l?Occidente si nutre né più né meno come strumenti da combattere in nome di un islamismo confezionato come un rifugio fatto di intransigenza esclusiva e di riscatto. Un mondo, anche, dove ogni arma di combattimento diventa lecita. Del secondo fronte che lascia sguarnito l?Occidente la responsabilità è invece totalmente degli Stati Uniti. Qui, il rito e la combattività di una campagna elettorale presidenziale che oggi si disputa essenzialmente sull?economia non lascia spazi per dibattiti di politica estera. Si tratta di un limbo in cui tutto appare sospeso e rimandato al prossimo gennaio,quando si riinsedierà per altri quattro anni il presidente Obama o la Casa Bianca avrà un nuovo inquilino. Ogni crisi internazionale, come quella attuale, che avvenga nel frattempo viene pertanto letta e vissuta essenzialmente in termini di sfida politica nei confronti dell?avversario. Una posizione di evidente debolezza in cui ha facile gioco chi vuole ferire l?America e l?Occidente. Ma la complessità della realtà mediorientale dimostra di non conoscere momenti di tregua. Gli sforzi di Obama di cercare un atteggiamento di giusto equilibrio sulla questione israelo-palestinese si sono col tempo annacquati, mentre Israele simpatizza per il candidato alla presidenza che avverte più vicino alle sue posizioni. Di qui le avversioni per un?America che ognuno vorrebbe dalla propria parte.