Fogli al vento

I remoti anni Sessanta

Proprio 60 anni fa si inaugurava l’attesissima E64, l’Esposizione Nazionale svizzera di Losanna
Michele Fazioli
Michele Fazioli
06.05.2024 06:00

Chi non è incline alla nostalgia e chi è troppo giovane per provarne, si astenga pure dal leggere queste righe (a meno che non sia interessato alla storia del nostro passato prossimo). Proprio 60 anni fa come in questi giorni, a primavera, si inaugurava l’attesissima E64, l’Esposizione Nazionale svizzera di Losanna. Gli svizzeri si radunavano in un luogo per far memoria di sé, compiaciuti del passato e curiosi di avvenire. La precedente esposizione del 1939 a Zurigo, 25 anni prima, aveva rassicurato l’isola svizzera dentro un’Europa che si stava incendiando nella guerra: i nostri genitori ce ne parlavano come di un evento memorabile.

Nel ’64 noi, nati nel primo dopoguerra, eravamo adolescenti, c’era in atto il boom economico, la tv svizzera era nata da appena cinque anni, si diffondevano frigoriferi, Fiat 600, Topolini e Maggiolini VW; al liceo le ragazze portavano ancora gonna e grembiule, era appena stato assassinato il presidente americano Kennedy, al Cremlino c’era Krusciov che un giorno a New York si tolse una scarpa picchiandola minaccioso sul tavolo del palazzo dell’ONU; nella Chiesa era in corso il Concilio Ecumenico, Papa Paolo VI era appena succeduto a Papa Giovanni XXIII. Era il tempo della guerra fredda, della cortina di ferro, del Muro di Berlino. In Ticino non era ancora nato il PSA, costola radicale e rivoluzionaria (ma per poco) di una socialdemocrazia infiacchita, i primi due partiti del cantone erano i liberali e i conservatori, in antico duello tra di loro. I nostri professori indossavano la cravatta, gli operai fumavano Stella Filtra e Marocaines, i signori e le signore le Muratti e le Kent, fra noi studenti cominciavano a serpeggiare, assieme alle acri Gauloises, alcune idee appena un po’ anticonformiste. Il tempo era sospeso su un futuro che sembrava pieno di promesse, leggevamo che di lì a qualche anno l’uomo sarebbe addirittura sbarcato sulla luna. La Svizzera, ben pasciuta e sicura, neutrale e rispettata, piccola terra di mezzo fra Est e Ovest, custodiva le sue alpi e i suoi forzieri discreti.

La contestazione era di là da venire, il Sessantotto era in gestazione ma nessuno lo sapeva. A Losanna fiorì un’esposizione gioiosa, dinamica, tutta impregnata di curiosità, fantasia, lievità. Esteticamente bellissima e forte di contenuti. Merito dei tempi speranzosi, merito anche dell’architetto in capo, il ticinese Alberto Camenzind, coordinatore di talenti, il quale creò personalmente la splendida Via Svizzera, un cammino di vele e ponti arditi verso il lago e l’avvenire. Un altro ticinese, Tita Carloni, realizzò il bel padiglione per la cultura e la società, intitolato «Gioia di vivere». C’era la monorotaia sospesa nell’aria che faceva molto fantascienza e Disneyland, c’era una freschezza coraggiosa di architettura e di arte che esprimeva un desiderio creativo nuovo ma costruttivo, inquieto ma non nichilista, riformatore ma non dissacrante. Sott’acqua c’era il batiscafo di Piccard, all’entrata dell’Expo un prototipo di cervello elettronico, personificato in Gulliver, incamerava i dati dei visitatori per capire i desideri degli Svizzeri. Visitammo l’E64 con la scuola e poi con le famiglie, vivemmo momenti di coscienza di Paese (l’aggettivo «patriottico» sembrava già allora un po’ vetusto). Guardammo e godemmo le meraviglie tecniche e architettoniche di una effimera città magica fra terra e acqua, che ai nostri giovani occhi parlava di immaginazione e futuro. Gli intellettuali già si interrogavano con qualche ansia, qualche potere appariva vetusto, qualche desiderio giovanile si colorava di controllata ribellione. Sarebbe poi arrivato il 68, con le sue buone pulizie di primavera e le sue degenerazioni ideologiche. Il tempo si sarebbe messo a correre, l’impero sovietico si sarebbe sgretolato, l’isola svizzera sarebbe stata percossa da venti forti, tutto sarebbe diventato più problematico.

Fu l’ultima grande esposizione nazionale di spessore e di successo (il 700. della Confederazione nel ’91 non sarà stanziale ma sarà decentrato sul territorio nazionale). L’esposizione nazionale del 2002 sui laghi di Neuchâtel e Bienne fu di fatto un flop, per sgangherate ambizioni ma soprattutto perché non era, non è più tempo di esposizioni nazionali. Se mai si celebrerà qualcosa ancora di simbolico-elvetico, probabilmente riceveremo il tutto su display. L’Expo 64 fu un evento grandioso, per farle spazio fu persino riempito un pezzetto di lago: oggi, sessant’anni dopo, quella grande riva che la ospitò è tutta verde, tanti campetti di calcio, prati, alberi e sentieri. Provvisoria ed effimera, l’Esposizione del 1964 resta memorabile e rimpianta proprio per questo. Noi che l’abbiamo vissuta la ricordiamo come un’esperienza bella, coraggiosa e positiva, addolcita oggi dalla nostalgia per i memorabili anni decisivi della giovinezza.