I turbamenti della Spagna che recupera

L'EDITORIALE DI FABIO PONTIGGIA
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
12.10.2018 06:00

di FABIO PONTIGGIA - La Spagna celebra oggi la festa nazionale, dopo essersi lasciata alle spalle l'annus horribilis del referendum secessionista catalano e dopo aver archiviato la stagione di Mariano Rajoy, l'ex premier travolto dai casi di corruzione compulsiva che hanno messo in ginocchio la credibilità del Partito popolare. Lo fa con un Governo debole, quello di Pedro Sanchez, ostaggio di Podemos e della manciata di voti dei partiti nazionalisti, senza i quali il PSOE non avrebbe la maggioranza al Congresso (ieri i due partiti catalanisti PDECat e ERC hanno detto che non intendono approvare il preventivo 2019 dello Stato). E lo fa tuttora confrontata con la pressione dei separatisti, che non accenna a diminuire, anche se appare sempre più sguaiata con il nuovo presidente della Generalitat Quim Torra e anche se nel fronte secessionista si allarga la spaccatura fra il partito dell'ex presidente Carles Puigdemont, in fuga all'estero per sottrarsi al corso della giustizia, e quello dell'ex vicepresidente Oriol Junqueras, in carcere preventivo in attesa del processo per i gravi reati per cui è indagato in relazione al tentativo di staccare la Catalogna da Madrid per vie illegali. Eppure la Spagna avrebbe di che guardare con maggiore serenità a questo 2018 che si avvia al tramonto. Nonostante errori, ondeggiamenti e anche incoerenze, i due Governi di Mariano Rajoy (tra il dicembre 2011 e il novembre 2016 il primo e tra il novembre 2016 e il giugno 2018 il secondo) hanno condotto il Paese fuori dalla spaventosa crisi economica scoppiata a cavallo tra il 2008 e il 2009. Il cammino per recuperare tutto quanto era stato perso è ancora lungo, ma chi frequenta la Spagna percepisce chiaramente un clima di ritrovate opportunità. Gli indicatori economici da almeno quattro anni volgono del resto al bello. Il PIL è tornato sopra i livelli precedenti la crisi. Restano le due dolorose spine nel fianco: la corruzione e la questione catalana. La prima, sia nel Partito popolare, sia nel Partito socialista (e in Catalogna anche nell'ex partito del clan Pujol), ha toccato livelli di un'indecenza indescrivibile senza ricorrere al turpiloquio. Molto più della crisi economica, questo è il fattore che ha portato al superamento del bipartitismo a livello nazionale e alla metamorfosi, in senso estremista, del nazionalismo moderato, non secessionista, in Catalogna. Procedimenti giudiziari sono tuttora aperti. La formazione più coinvolta e più danneggiata è il PP. Oltre ad aver perso consensi al centro a beneficio di Ciudadanos, il partito di ispirazione liberal-socialista, fondato in Catalogna da Albert Rivera in opposizione ai secessionisti e poi allargatosi a tutta la Spagna, i popolari rischiano ora, per la prima volta, un'erosione anche sulla destra. La frangia dissidente che nel 2013 aveva dato vita al partito Vox, presieduto dal basco Santiago Abascal, ha seguito una traiettoria simile a quella della tedesca AfD: dalle iniziali posizioni liberali si è spostata sulla linea delle formazioni populiste e sovraniste in auge in tutta Europa. Nelle elezioni europee del 2014 e in quelle generali del 2015 e 2016 non ha ottenuto seggi e non ha mai raggiunto il 2% dei voti. Ma domenica scorsa Vox ha riempito con diecimila militanti e simpatizzanti l'arena coperta di Vistalegre a Madrid, mentre altre tremila persone hanno assistito da fuori al raduno. L'assemblea ha approvato il documento 100 misure per la Spagna viva in cui si propone fra l'altro la deportazione degli immigrati clandestini nei Paesi d'origine, la costruzione di un muro «invalicabile» a Ceuta e Melilla, il rafforzamento delle frontiere, la chiusura delle moschee fondamentaliste, un nuovo trattato europeo in linea con quanto chiede il gruppo di Visegrad, la soppressione dei finanziamenti pubblici ai partiti, la lotta contro la corruzione politica. E, in più, la sospensione dell'autonomia della Catalogna, l'abbandono del sistema decentrato delle Comunità autonome a beneficio di uno Stato unitario più centralistico, la messa fuori legge dei partiti separatisti. Si vedrà fra sette mesi, nelle elezioni europee, se questa ricetta metterà ancor più in difficoltà il Partito popolare. La seconda spina nel fianco, il separatismo catalano, ha celebrato il primo anniversario del referendum illegale del 1. ottobre 2017 e si appresta a ricordare la dichiarazione unilaterale di indipendenza approvata dal Parlamento il 27 ottobre. La mano tesa di Pedro Sanchez per un dialogo nel solco della legalità costituzionale ha ricevuto per tutta risposta l'ultimatum del presidente catalano Quim Torra, che vuole un nuovo referendum entro novembre, pena il ritiro dell'appoggio al Governo di Madrid (che a quel punto cadrebbe). Intanto nelle strade di Barcellona si è affacciata la violenza, con i Comitati di difesa della Repubblica e gli estremisti dell'organizzazione giovanile anticapitalista Arran.