I veri liberali secondo Aristotele

di CARLO SILINI - A dispetto del titolo, questo articolo non tratta di politologia, o forse sì, ma non nel senso consueto del termine. Tratta, piuttosto, di un?area dismessa nella città dei comportamenti umani contemporanei: il quartiere delle «virtù minori». Fate finta che questa sia una petizione redatta da un urbanista che, con rammarico, vede sparire sotto il maglio della nuova edilizia piccoli gioielli di architettura antica – graziose villette liberty, per dire – che non «urlano» abbastanza la loro discreta bellezza e vengono cancellate dai piani regolatori.Nella città dei comportamenti umani, tornando a bomba, vanno scomparendo gesti, pensieri e azioni che non riescono a spuntarla nella lotta per la sopravvivenza nella civiltà del XXI secolo. Due esempi: il pudore e la cavalleria. Difficile, oggi, per una ragazza, farsi notare non facendosi notare (che è un po? il sigillo del vero pudore). Simmetricamente difficile, in una società che ha messo il profitto al di sopra ogni altro valore, cedere cavallerescamente il passo ai più sfavoriti (avviene piuttosto il contrario: si è fortissimi coi deboli e debolissimi coi forti).Di queste ed altre qualità smarrite racconta un agile saggio di fresca pubblicazione, «Virtù antiche», edizioni Messaggero Padova, curato dal filosofo Giovanni Ventimiglia e redatto a sei mani: ci sono anche quelle del suo collega Adriano Fabris (che, come Ventimiglia, insegna anche alla facoltà di Teologia di Lugano) e del noto teologo e priore della comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi. Vale la pena di leggerlo soprattutto per gli ottimi argomenti contro la non troppo velata accusa di «moralismo» rivolta ormai a chiunque osi ragionare a voce alta del bene e del male.Ma cosa c?entrano i liberali? C?entrano. Tra le antiche virtù riesumate da Ventimiglia, Fabris e Bianchi, spunta, a sorpresa, la «liberalità»; la qualità, cioè, di essere dei veri liberali. Dimenticate de Tocqueville, Thomas Hobbes, John Locke, James Mill, David Hume, Adam Smith, John Rawls e gli altri padri nobili delle molte sfaccettature del liberalismo. Dimenticate, soprattutto, le vivaci schermaglie tra le due anime del partito liberale locale. Qui si vola più alto. Si torna al sommo Aristotele, il quale, 24 secoli fa, nella sua Etica Nicomachea, ricordava che «né si potrà chiamare liberale chi (?) prenderà da dove non si deve: un simile prendere non è, infatti, proprio di un uomo che non stima i beni materiali. Né sarà liberale chi sollecita beni per sé, giacché non è proprio di chi fa il bene il farsi beneficiare senza scrupoli (?). È caratteristico dell?uomo liberale persino eccedere nel donare, in modo da lasciare a se stesso la parte minore dei suoi beni: infatti è proprio del liberale non guardare a se stesso». Liberali d?altri tempi, commenta acutamente Ventimiglia.Chissà se queste osservazioni volanti potrebbero giovare alla ridefinizione dell?identità liberale in casa nostra e fuori. Un fatto è certo: a un liberale «aristotelico» – qualsiasi sia il suo orientamento politico e partitico – difficilmente negherei un voto.