L’opera che vorrei

Il cane Igor

La rubrica di Salvatore Maria Fares
Opera dello scultore Paolo Troubetzkoy.
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
07.10.2020 22:10

Uno scultore con le dita sottili e lunghe che può plasmare con rara maestria il gesso, così avevano detto di lui, che di gessi ne ha lasciati molti andati dagli eredi in donazione al Museo del Paesaggio di Pallanza. Le sue fusioni in bronzo sono maestose anche se essenziali per la soggettistica, al punto che qualcuno lo definiva «impressionista» a suo modo. Molte sue figure femminili, le sue danzatrici ad esempio, hanno una grazia che potrebbe ricongiungerle alle figure del Botticelli. Era nato a Intra nel 1866. Il Verbano fu un luogo del suo cuore. Ebbe committenze da molti e per molti personaggi, fra i quali George Bernard Shaw, Gabriele D’Annunzio, Tolstoj, Toscanini e la star dei teatri d’opera Enrico Caruso, oltre ad avere eseguito statue di illustri personaggi, come Segantini ad esempio. Sua madre era una pianista americana e l’artista conobbe grandi personalità anche nel suo lungo soggiorno americano, quando abitò a Hollywood e frequentò anche i protagonisti della politica. Era un principe russo figlio di un diplomatico e questo ne favorì le relazioni ma conobbe anche Lenin, che certo non era dalla parte della sua storia. Ebbe relazioni con donne diverse e si disse da una che ebbe un figlio, divenuto una delle firme più importanti del realismo narrativo, Curzio Malaparte. Infatti nella prefazione di Giancarlo Vigorelli al Meridiano che la Mondadori gli ha dedicato, si legge che Curzio Malaparte fosse figlio dello scultore Paolo Troubetzkoy, che aveva avuto una relazione con sua madre durante una crisi matrimoniale. Non era provato però. Di toscano, del suo tanto amato popolo, quindi Malaparte, che a Lugano frequentò l’avvocato Pino Bernasconi, suo esecutore testamentario, aveva avuto solo il latte della balia, la Baldi che tanto adorava. Del Troubetzkoy c’è chi in Ticino possiede delle opere, come le filiformi eleganti figure dei coniugi sangallesi Vonwiller, fortunati finanzieri a Milano. Anche Toscanini e Puccini ebbero la loro raffigurazione nei suoi busti di bronzo; a Torre del Lago il creatore di Turandot ha il monumento firmato dal principe delle statue. Di Troubetzkoy vorrei una statuetta del suo amato cane, Igor, che domina con espressione assente ma vigile; forse anche vigile sui «copiatori» che di alcune sue statuette sono ancora numerosi. Igor è la solennità della fedeltà, solitario e in attesa. Mi ricorda i cani del Puccini cacciatore ma nella sua immobilità lo accosterei alla figura leggerissima della contessa danzatrice Thamara Swirskaya che con altre figure eteree della danza ebbe dallo scultore l’immagine più delicata e al contempo potente, come Igor. C’è un illuminante libro di Stefano Zuffi sui cani nell’arte e in quelle pagine ne descrive la centralità nelle opere che li esaltano, da solitari o in contesti allargati. Dai vasi greci ed etruschi per arrivare ai grotteschi di William Wegman e Andy Warhol, con dei cani simili a Igor, il cane è amico e fiancheggiatore dell’uomo dalle origine della storia e ha un suo palmarès firmato dai maggiori artisti di ogni epoca, dall’Umanesimo al Barocco, all’arte contemporanea.