L'editoriale

Il disastro di ieri e la forza di oggi

Dal disastro alla rinascita: Mesolcina e Vallemaggia un anno dopo
Gianni Righinetti
28.06.2025 06:00

Prima la Mesolcina, poi nella notte sul 30 giugno di un anno fa, la Vallemaggia. La devastante forza dell’acqua, scatenatasi dopo giorni di caldo che, purtroppo, non possiamo più considerare anomalo. Condizione, quest’ultima, che stiamo provando sulla nostra pelle anche in questi giorni, incrociando le dita affinché i temporali che (presto o tardi) arriveranno non siano eccessivamente violenti e devastanti. A ricordarci che il pericolo idrogeologico è sempre in agguato ci ha poi pensato l’impressionante frana di terra, massi e fango che ha seppellito Blatten nelle scorse settimane. Volenti o nolenti ci troviamo in uno stato di tensione permanente dato che, il quesito, non è se il maltempo ci toccherà ancora. Bensì, quando, dove, con quale intensità ed effetti. Intanto nelle Valli del locarnese la situazione è tornata ad una sostanziale «normalità», accompagnata alla speranza di riparare e ripristinare, come avverrà per il ponte di Visletto a Cevio, ma i massi millenari spostati dalla furia della natura sono ancora lì, grigi e «freschi» a ricordarci che la normalità è più che altro uno stato delle cose che ci imponiamo, piuttosto che un dato di fatto oggettivo. Tutto normale potrebbe apparire da chi osserva dal piano la valle con il sole che splende, altra cosa è per chi vive quotidianamente lassù e che ha subito sulla sua pelle, osservando con gli occhi sbarrati e una fitta al cuore la desolante e irrefrenabile forza distruttiva dell’acqua e dei detriti trascinati a valle. Nelle scorse settimane il nostro giornale ha dedicato spazio al ricordo di quei difficili giorni di dodici mesi fa. Dopo aver evidenziato gli sforzi delle autorità, con l’importante impegno del Governo e della deputazione ticinese alle Camere federali a tenaglia sulla Berna federale per ottenere di più dello zuccherino concesso in partenza, ha tastato il polso alla popolazione. Nella realtà di ogni giorno assistiamo ad un piangersi addosso e dare la colpa agli altri, piuttosto che rimboccarsi le maniche per andare avanti, l’orgoglio vallerano è forte, genuino e determinato. D’altronde chi per scelta non ha optato per la «confort zone» cittadina, ha innata la propensione al sacrificio. L’ottimismo e la forza di rialzarsi lo si è percepito in ogni parola, significativa a nostro avviso è la frase di un agricoltore 46enne: «Quel disastro ha lasciato inevitabilmente un segno, ma ho deciso di guardare avanti, affrontando la vita nel presente». Le tracce dell’alluvione sul territorio resteranno a lungo, e faranno parte della memoria storica di chi lassù vive e opera mantenendo viva quella periferia che senza l’opera di questa umanità animata da grande volontà e spirito di sacrificio, sarebbe bosco fitto, un territorio dal destino segnato, abbandonato.

I disastri naturali sono una realtà con la quale dobbiamo convivere, da una parte affrontando le cause che li generano, pur sapendo che il nostro apporto è quello della classica goccia nel mare. Non significa che si debba lasciare perdere in segno di resa, ma neppure vendere false illusioni. Ma non rimuoviamo la realtà: l’impotenza umana nei confronti della natura. In un mondo che genera la falsa illusione di dominare e controllare tutto grazie alla tecnologia e all’Intelligenza artificiale, è sempre più indispensabile il cervello umano.

Nell’immediato si può e si deve cautelarsi, intervenire a titolo preventivo, che non significa risolutivo. Poi è doveroso che la politica s’interroghi e proponga ipotesi di lavoro rispetto al pompieristico intervento d’emergenza, con il credito eccezionale. Sul tavolo della Berna federale ora c’è l’idea di Fabio Regazzi (Centro) di dare vita a un fondo nazionale contro le catastrofi naturali. Un’idea da affinare, da implementare e costruire considerando diversi aspetti. Ha sorpreso il «nein» immediato in prima battuta del consigliere federale Albert Rösti, una scivolata corretta solo pochi giorni più tardi con: «È uno strumento di discussione adatto, ma ci vorrà il tempo necessario». Va bene, ma senza esagerare nelle lungaggini politiche. Interroghiamoci pure, perfezioniamo la proposta, ma non cadiamo nella trappola del perfezionismo elvetico. Quello che viene sventolato dalla politica quando si vuole rinunciare, ma non si ha il coraggio di difendere pubblicamente la scelta.