Il «Far West» dei dati e i media

Sono generalmente contrario alle interferenze dello Stato nel libero mercato perché spesso creano distorsioni ben maggiori rispetto alle inefficienze che cercano di risolvere. Il prossimo 13 febbraio sosterrò invece con convinzione la legge federale sul pacchetto di misure a favore dei media svizzeri. Certamente sono in conflitto d’interesse, ma avendolo chiaramente palesato ciascuno può meglio valutare il mio pensiero.
Gli straordinari e velocissimi sviluppi tecnologici degli ultimi 20 anni stanno creando un mondo nuovo, affascinante, pieno di opportunità che non capiamo ancora completamente. Stanno anche creando distorsioni che emergono in modo sempre più evidente. Al cuore della nostra società oggi ci sono i dati. I dati sono denaro. Pochi colossi al mondo controllano e raccolgono la stragrande maggioranza di tutti i dati in circolazione.
Non è un caso che Alphabet, Meta (Facebook), Apple, Microsoft e Amazon siano in pochi anni diventate le più grandi aziende al mondo con utili, margini e capitalizzazioni da capogiro. Queste cinque aziende oggi contano per quasi un quarto della capitalizzazione delle 500 principali aziende americane. Una concentrazione mai avvenuta prima nella storia della borsa.
Questo è anche dovuto al fatto che queste aziende operino in un contesto dove c’è un vuoto normativo e uno squilibrio nel rapporto con i dati fra individui e i colossi della rete. Operano in un «Far West» dei dati: senza diritti chiari, regole o consuetudini adeguati ai cambiamenti in corso.
Nel 2016 l’Europa si è dotata della normativa più avanzata al mondo sui dati: la così detta GDPR. La Svizzera ha recepito gli stessi principi nella revisione della LDP del 2020. Alla base di queste normative c’è il principio fondamentale che ogni individuo gode di determinati diritti sui dati che genera. In pratica però ancora oggi nessuno è in grado di esercitare appieno questi diritti fondamentali. Nessuno di noi ha una idea precisa di quali dati le aziende e soprattutto i colossi del web raccolgano su di noi. Soprattutto nessuno di noi conosce il valore di questi dati. Non c’è la trasparenza necessaria affinché si crei un mercato primario dei dati, con domanda, offerta e prezzi che permettano a chi genera i dati (ognuno di noi) di decidere come beneficiarne direttamente. Oggi, in cambio dei dati che diamo, riceviamo dei servizi senza avere nessuna idea se i prezzi e se lo scambio siano equi. Tutto questo cambierà ma ci vorrà del tempo affinché nascano nuovi intermediari, consuetudini e regole che permettano a ciascun individuo di controllare meglio e potenzialmente, se lo desiderasse, anche monetizzare i propri dati.
Nel frattempo i colossi della Rete ne approfittano. Alphabet e Meta raccolgono già più della metà del mercato pubblicitario mondiale perché i dati li hanno e li sanno utilizzare molto bene. Approfittano del vuoto normativo e del fatto che non è ancora chiaro a chi appartengano legalmente i dati generati da ciascun individuo. In questo processo evolutivo, con tutti i cambiamenti in corso, ci sono delle vittime. I più deboli operatori sul mercato pubblicitario che sono i piccoli media indipendenti. In passato erano la linfa per la visibilità di tutte le aziende sul territorio. Oggi i loro ricavi vengono divorati dai due colossi della Rete che operano in regime di duopolio naturale.
Di fronte a questi nuovi fenomeni globali e dirompenti urge un piccolo intervento per salvaguardare l’indipendenza di una pluralità di piccoli media che sono fondamentali per la nostra democrazia se non desideriamo che alla lunga tutta l’informazione passi solo attraverso 2 aziende americane. Mi auguro che questi sostegni siano temporanei, fino a quando il quadro normativo dei dati sarà chiarito e nuove consuetudini emergeranno che renderanno inevitabilmente più deboli gli attuali monopoli naturali.