Il fascismo è davvero dietro l’angolo?

C’è il fascismo dietro l’angolo? Lo studioso grigionese Nidesh Lawtoo – che intervistiamo nel CorrierePiù di oggi – ha scritto un saggio dal titolo intrigante: (Neo)fascismo: contagio, comunità, mito in cui confronta la retorica di Hitler e Mussolini con quella dei nuovi leader politici, a partire da Trump.
Di fronte al sospetto che alcuni protagonisti della cosa pubblica, in particolare i populisti, siano tentati dal fascismo occorre essere chiari: se anche fosse, nella stragrande maggioranza dei casi non riuscirebbero ad imporre regimi di quel tipo. Non siamo negli anni Trenta del Novecento. Il fascismo storico è fallito nell’orrore e nel sangue. La democrazia liberale è il sistema politico di gran lunga più diffuso nel mondo.


Non dobbiamo dimenticare alcune caratteristiche peculiari del fascismo storico, argomento affrontato da Emilio Gentile nel saggio Chi è fascista (ed. Laterza, 2019). La prima è lo «squadrismo», cioè l’uso di squadre d’azione paramilitari armate per intimidire e reprimere violentemente gli avversari politici. La seconda è il totalitarismo. Tra il 1923 e il 1925 il fascismo italiano ha distrutto il regime parlamentare, cioè il nocciolo stesso della democrazia. Nel 1929 ha eliminato le opposizioni col consenso dell’industria, della monarchia e della Chiesa. La terza è quella che Gentile definisce una «rivoluzione antropologica»: l’ossessione di forgiare una nuova razza di esseri umani, nella fattispecie di italiani. Patologia tragicamente ereditata dall’allievo tedesco di Mussolini, Hitler, con gli esiti catastrofici che conosciamo.
In assenza di queste caratteristiche, osserva Gentile, non si può parlare di fascismo. Certo, nel mondo di oggi esistono e resistono regimi totalitari come la Corea del Nord che però nessuno si azzarderebbe a definire fascista. Non mancano poi sparuti gruppi di picchiatori coi capelli a spazzola. E si palesano oltre ogni comune senso del pudore movimenti come Jobbik secondo il quale gli ungheresi discendono dalla razza uralo-altaica (superiore, supponiamo), una panzana ancor meno credibile di quella sulla razza ariana. Sono poi innegabili profili politici pochissimo propensi al confronto democratico come Orban, per restare in Ungheria. E poi c’è Trump, che è un caso a parte perché sì, incarna il sogno (o l’incubo) dell’Uomo Forte, ma nel contesto di una grande democrazia che potrebbe rispedirlo a casa in novembre.


Anche se non ci piace, non commettiamo l’errore di identificare il populismo col fascismo. Il populismo riconosce la sovranità popolare, il fascismo no! L’ombra di quell’epoca ci sfiora, quindi, ogni volta che indeboliamo la democrazia, fosse anche per ragioni di sicurezza, come nella guerra contro il terrorismo o la pandemia.
Del fascismo storico ci resta invece la retorica. Posture e tecniche discorsive di allora godono di nuova fortuna oggi: la ripetizione ossessiva di slogan, l’onnipresenza delle immagini e una certa aggressività nelle espressioni visive e nei gesti sono pane quotidiano della politica contemporanea. Occorre vigilare perché dietro le parole non si nascondano le idee fasciste: razzismo, sessismo, nazionalismo esasperato, disprezzo per la democrazia e per la cultura. Nel suo celebre discorso del 25 aprile 1995 alla Columbia University per celebrare la liberazione d’Europa, Umberto Eco parlava di Ur-Fascismo. «Ritengo – diceva - sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’‘Ur-Fascismo’, o il ‘fascismo eterno’. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo».