Il Fisco e la fiducia perduta

(foto Scolari)
Gianni Righinetti
18.07.2015 06:00

di GIANNI RIGHINETTI - La conferma degli arresti nei confronti del numero uno dell'Ispettorato fiscale Libero Galli e dell'imprenditore Giovanni Cuzari, significa che la Magistratura sta ancora scavando, che c'è ancora un pericolo di inquinamento delle prove, ma non è ancora una sentenza. Fino a quando la giustizia si pronuncerà con un verdetto inappellabile, in uno stato di diritto, vale la presunzione d'innocenza. Salvaguardato questo principio non ci si può nascondere dietro ad un dito e fare finta di nulla, quasi che quanto trapelato in questi giorni (e mai smentito) sia come gocce d'acqua che scivolano via su una mantellina impermeabile senza lasciare traccia. Quello che abbiamo sentito e letto non lascia indifferente nessuno perché l'emerso (allo stadio attuale) in questa vicenda è comunque altamente disdicevole. Il signor Galli è un alto funzionario dello Stato, al vertice di un settore molto delicato, quel nervo sensibile che si chiama Fisco. La frequentazione tra il capo degli ispettori fiscali e un contribuente sotto verifica sopprime la distanza e la freddezza che devono invece esserci in questi casi. Paletti chiari, che qui apparentemente sono caduti. L'immagine del Fisco imparziale, che tratta tutti freddamente allo stesso modo, è compromessa. Questo, al di là della piega che prenderanno l'inchiesta penale e quella amministrativa, è il dato saliente, è quanto rimane impresso in ogni cittadino contribuente che con il Fisco ha a che fare ogni anno, quando viene regolarmente tassato e paga le imposte fino all'ultimo centesimo senza poter contare su amici all'interno dell'amministrazione. Un tassatore o un ispettore, nell'espletazione del suo mandato, non può manifestare simpatie (finendo magari per agevolare) o antipatie (per agire in maniera persecutoria). Se chi è chiamato a valutare un incarto ha relazioni d'amicizia, d'affari o d'altro genere con il contribuente interessato non ha scelta: deve fare un passo indietro. In sostanza si deve ricusare, e passare ad altri il dossier. Non servono rigide direttive, è una regola elementare, dettata dalla professionalità, dall'onestà e dal buonsenso. In questa vicenda si respira invece aria d'arroganza e di potere esercitato in quella che dovrebbe essere una funzione al servizio della collettività, perché l'incasso da imposte garantisce il nostro benessere. A nessuno, fatta eccezione magari per qualche irriducibile masochista, piace pagare le imposte, ma guai se vi fossero sotterfugi avallati o suggeriti da chi è chiamato a rappresentare lo Stato che, in questo ruolo deve essere super partes.

Sarà la canicola debilitante, la fase d'incertezza o l'assenza di un profilo politico o di un partito da attaccare frontalmente, ma la politica su questo caso non si è ancora scatenata, contrariamente a quanto accadde in passato quando il Fisco o altri settori erano già finiti nell'occhio del ciclone. In fondo questo non è un male, dato che il chiasso politico non ha mai contribuito a fare chiarezza e velocizzare le inchieste. Una delle verità inconfessabili è che la politica parte lancia in resta quando individua il nemico da abbattere.

Il Governo, fino ad oggi, si è limitato ad esprimere qualche frase di circostanza. Il primo a parlare è stato il presidente dell'Esecutivo Norman Gobbi e non il responsabile del DFE Christian Vitta, una scelta che lascia un po' perplessi e fa planare il dubbio che Vitta non abbia pienamente in mano la situazione e che Gobbi abbia fatto un po' il tutore. Ma solo le prossime parole ufficiali del Governo confermeranno o smentiranno questa ipotesi. Gobbi ha definito «grave» il caso che tocca l'immagine dello Stato, rallegrandosi però del fatto che è singolo e «non c'è un malandazzo generalizzato».

Questa storia del caso e non del sistema è ricorrente e, in verità, appare un po' come il coperchio per tutte le pentole. Drammatizzare non serve, ma anche agire da pompiere prima di capire cosa sia realmente accaduto non pare lungimirante. A forza di elencare casi singoli, questi si sono moltiplicati. Dal Consiglio di Stato ora si attende un'azione risoluta per capire cosa accade al Fisco e quanto funzionano i sistemi di controllo: quelli che riguardano i funzionari in genere e come vanno le cose man mano che si sale nella scala gerarchica. Urge fare chiarezza in questo senso, infondendo fiducia a chi la merita, ma intervenendo senza esitare laddove verranno riscontrate delle crepe nel sistema. L'esperienza insegna che tocca al Governo agire e al Parlamento vigilare, senza tenere all'oscuro l'opinione pubblica. Ma evitiamo Commissioni parlamentari d'inchiesta, buone più che altro per spendere soldi delle nostre imposte e ai partiti per farsi la guerra.