Il Lugano, la crisi e i peccati di presunzione

di FLAVIO VIGLEZIO - Ci risiamo. La sconfitta subita contro lo Zugo ha ufficialmente aperto la crisi del Lugano. Lo ha detto anche Alessandro Chiesa: il capitano ha parlato di crisi di risultati – i bianconeri hanno perso cinque delle ultime sei partite di campionato, vincendo solo contro il Rapperswil – ma in generale è evidente un chiaro malessere a livello di identità di gioco, che va di conseguenza a condizionare il rendimento dei singoli. Nella tiepida notte luganese di martedì il Lugano ha toccato il fondo: l'imbarazzante prestazione con i tori della Svizzera centrale – ad immagine di un primo tempo semplicemente da mani nei capelli – è arrivata dopo qualche concreto segnale di vita mostrato a Bienne. L'inequivocabile conferma che il Lugano è purtroppo entrato in una preoccupante spirale negativa. Dalla quale non sarà semplicissimo uscire, considerando che di fatto i problemi sui quali ci si focalizza oggi sono quelli che già affliggevano la squadra in agosto, nei primi incontri della Champions League. Ricordate lo sfogo in panchina di Greg Ireland all'esordio sul ghiaccio del Pilsen? «Sono stufo, stufo marcio di quel che sto vedendo», era stato il messaggio del coach canadese. Accecati dallo straordinario cammino negli scorsi playoff un po' tutti – compresi i media, giusto sottolinearlo – hanno pensato che dopo due finali e una semifinale il club bianconero avesse finalmente trovato una definitiva stabilità. Ed invece il Lugano sembra vittima di una maledizione che lo costringe a scadenze regolari ad attraversare periodi più o meno bui. Quale è stato il leitmotiv delle ultime dieci-dodici stagioni? Sopraggiunge un momento – il più delle volte senza preavviso alcuno – in cui qualcosa si rompe. E la soluzione è praticamente sempre stata la medesima: si ringrazia l'allenatore per il lavoro svolto e si riparte da zero con un altro coach sperando che sia in grado di invertire la tendenza. Dal 2006, anno dell'ultimo titolo, sono quattrordici i tecnici (contando anche la prima brevissima esperienza di Ireland) ad essersi accomodati sulla bollente panchina bianconera. È il segnale di uno scollamento strutturale tra il ruolo, i compiti e le scelte della dirigenza (in altre parole, la forza e l'autorevolezza di chi comanda) e lo staff tecnico. Non basta «twittare» come ha fatto ieri la società, «Abbiamo vissuto momenti difficili in passato, insieme a voi (i tifosi, NdR) li abbiamo superati. Questo è un momento difficile, insieme a voi vogliamo uscirne». No, questo è il momento in cui chi siede nella stanza dei bottoni deve essere in grado di lanciare segnali forti senza nulla chiedere agli appassionati di fede bianconera, che ancora l'altra sera hanno applaudito la squadra all'uscita dal ghiaccio. Perché la gestione dei periodi di magra da parte del club – sia all'interno dello spogliatoio sia verso l'esterno – si è troppe volte rivelata lacunosa. Come non ricordare la surreale conferenza stampa che fece seguito all'esonero di Doug Shedden? La società sottolinea che la squadra sta attraversando un momento difficile: bene, tocca a lei fornire le soluzioni necessarie per uscire dal pantano in cui il Lugano è finito. Intanto nei corridoi della Cornèr Arena – a causa della mancanza di risultati e della scarsa qualità del gioco offerto – le quotazioni di Greg Ireland stanno progressivamente perdendo quota. È indubbio: anche l'allenatore ha la sua bella fetta di responsabilità. Un power-play inguardabile, l'inscalfibile fiducia nel suo sistema di gioco e l'immobilismo tattico che ne consegue, così come alcune scelte e decisioni perlomeno discutibili in merito all'utilizzo di alcuni elementi non giocano di certo a suo favore. Ma quale supporto ha ricevuto e sta ricevendo il coach di Orangeville? Prima della partita di Coppa Svizzera – sempre contro lo Zugo – il ds Roland Habisreutinger in un'intervista ai colleghi di MySports non aveva nascosto il suo malcontento: «Fatichiamo a trovare il nostro ritmo – e i nostri avversari tirano quasi sempre in porta più di noi». Tutto giusto. Ma detto delle responsabilità di Ireland, non si possono sottacere quelle della dirigenza. Quella ufficiale e quella ancora ben presente nello «studio ovale» bianconero. A livello di campagna acquisti, per esempio, per l'ennesima volta non si è risuciti a trovare un difensore straniero di prima fascia. E per quasi un mese il Lugano – dopo l'infortunio patito da Linus Klasen – non ha colpevolmente considerato problematico regalare uno straniero a tutti i suoi avversari. Un peccato di presunzione pagato a caro prezzo, anche perché per rimpiazzare lo svedese è stato ingaggiato un attaccante di sicuro talento – Henrik Haapala – reduce però da un intervento chrurgico ad un'anca e totalmente fuori condizione. Il suo bilancio? Un assist in cinque partite tra campionato, Coppa e Champions League. E apparentemente il club non ha nessuna intenzione di tornare sul mercato, ora che un Klasen altrettanto fuori forma sembra vicinissimo al rientro. Quando forse di stranieri per infondere nuova linfa vitale ce ne vorrebbero altri due. Il tempo per uscire dal buco (bianco)nero c'è tutto, ma tergiversare sarebbe deleterio.