Parole chiare

Il negazionismo è un’altra cosa

La rubrica del direttore Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
03.02.2020 17:13

Le parole non sono innocenti. Un semplice aggettivo o un avverbio fuori posto può ferire l’animo e distruggere una persona. Ogni parola andrebbe quindi attentamente soppesata prima di essere detta o scritta. E soprattutto conosciuta nel suo preciso significato. Nell’era delle reti sociali (e dei polpastrelli che prudono spesso scollegati dal cervello) questa regola d’oro del dialogo e del confronto civile è sempre più spesso disattesa. Se poi ci si mette l’integralismo, di qualsiasi matrice, cadono tutti gli argini. Da quando il dibattito sui cambiamenti climatici è al centro dell’attenzione dilaga l’abuso dei termini negazionismo e negazionista. Arbitrario e offensivo. Per quali ragioni? Il negazionismo è l’insieme delle tesi storiche secondo le quali l’Olocausto non è un fatto accertato e documentato bensì un’invenzione propagandistica. Secondo gli storici e i politici negazionisti lo sterminio degli ebrei attuato dal regime nazionalsocialista non è mai avvenuto. Il negazionismo si differenzia dal revisionismo storico: il primo sostiene che quei fatti non siano tali, il secondo sì, ma li interpreta in modo diverso, li ridimensiona, li corregge. Si potrebbe dire che in sé la storiografia è revisionista per definizione, poiché è sempre alla ricerca di nuovi dati, documenti, ritrovamenti, testimonianze che possono modificare, cioè costringere a rivedere, revisionare appunto, le conoscenze acquisite. Il negazionismo è gravemente offensivo, e in taluni Stati viene penalmente perseguito. Il revisionismo è invece positivo e salutare e gode della piena libertà di ricerca e di opinione. Essendo legati ad eventi così drammatici e ad un capitolo così buio della storia del nostro continente, i termini negazionismo e negazionista non dovrebbero pertanto essere utilizzati estensivamente e impropriamente per altre questioni. L’abuso li banalizza, offende la memoria delle vittime dell’Olocausto e manca di rispetto a loro e ai sopravvissuti. Per quanto riguarda il dibattito sul clima, purtroppo una parte dei fautori della teoria antropogenica (secondo la quale il clima oggi cambia a causa soprattutto delle attività umane) non si fa scrupoli in tal senso e utilizza strumentalmente quei termini per applicare un marchio infamante agli scienziati che non condividono o che contestano tale teoria. Lo fa per non riconoscere loro alcuna legittimazione, per metterli al bando, come fossero persone non degne di considerazione, quasi degli appestati. Un arbitrio morale ma anche logico: quegli scienziati non contestano infatti che il clima cambi, non negano cioè un fatto assodato (solo uno stupido può dire che non lo è); criticano per contro la teoria che spiega tale fatto in un determinato modo. Ma le teorie non sono oggetto di negazione, bensì, semmai, di confutazione, scetticismo, sospensione del giudizio in attesa di prove più convincenti e certe. E questo è pienamente legittimo, perché è la base del metodo scientifico. Evitiamo pertanto di inquinare il dibattito sul clima con tossine ideologiche e integraliste, indegne di una democrazia matura e civile.