Il nodo dell'inflazione bassa

Alfonso Tuor
06.03.2014 05:30

di ALFONSO TUOR - Ancora lunedì scorso Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, ha ripetuto che la Banca centrale europea deve agire per evitare che Eurolandia cada in deflazione ed ha ammonito che l?attuale tasso di inflazione è talmente basso da poter far deragliare la ripresa dell?economia del Vecchio continente. E sicuramente l?attuale tasso di inflazione, che si situa allo 0,8%, sarà al centro delle discussioni odierne del Comitato direttivo della BCE. Mario Draghi non condivide le preoccupazioni dell?FMI e prevede che l?inflazione europea resterà ancora a lungo a livelli molto bassi prima di salire gradualmente per avvicinarsi all?obiettivo di un tasso di rincaro attorno al 2%.

Il basso tasso di inflazione è il risultato logico delle attuali politiche di Eurolandia. Infatti con la moneta unica i Paesi in maggiore difficoltà sono incitati a recuperare competitività rispetto ai Paesi forti comprimendo i costi e in particolare quelli salariali, dato che non dispongono più dell?arma della svalutazione. Quindi, si potrebbe essere indotti a ritenere che la bassa inflazione sia un effetto del risanamento economico di Eurolandia. Il problema è che questi sforzi dei Paesi deboli diventano estremamente onerosi e producono risultati insoddisfacenti a causa di prezzi tedeschi, pressoché stabili, e di salari germanici che l?anno scorso sono addirittura diminuiti in termini reali. In queste condizioni, il recupero di competitività può avvenire solo attraverso una dolorosa riduzione di salari e prezzi e quindi, come teme Christine Lagarde, rischia di tramutarsi in una corsa verso la deflazione. E come conferma l?esperienza giapponese, la deflazione è una brutta malattia, molto difficile da curare. Spinge famiglie ed imprese a rinviare acquisti ed investimenti in base all?aspettativa di prezzi inferiori e in questo modo deprime ulteriormente l?attività economica.

L?Europa non è ancora arrivata fino a questo punto, come sostiene giustamente la BCE, ma sta muovendosi in questa direzione anche perché, come un gatto che si morde la coda, la corsa al ribasso di prezzi e salari è un prodotto del meccanismo di funzionamento della moneta unica europea e, quindi, non è destinato ad arrestarsi. Anzi, è rafforzato da un?attività economica che continua ad essere molto debole e fragile, come conferma un altro segnale di allarme, che è costituito dalla contrazione dei crediti bancari all?economia reale. Che cosa possono fare le autorità monetarie? L?FMI sembra suggerire che la BCE segua l?esempio della Federal Reserve americana e si metta a stampare moneta per acquistare titoli statali e privati. Questa via è però osteggiata dalla Germania e non produce risultati certi. Inoltre in Europa sarebbe molto difficile da praticare. Infatti non sarebbe semplice stabilire quali obbligazioni e soprattutto di quali Stati europei comprare.

Il pericolo di deflazione e la fragilità dell?attività economica costringono però all?azione. La Banca centrale europea sembra intenzionata ad aggirare gli ostacoli della particolare struttura dell?euro invitando le banche a cartolarizzare i loro crediti (ossia ad emettere obbligazioni di strutture in cui vengono impacchettati) per poi acquistarli. Ciò libererebbe i bilanci delle banche e dovrebbe indurle ad essere più espansive nell?erogazione di nuovi crediti. Nei fatti si tratta di un nuovo aiuto al sistema finanziario che produrrà risultati modesti, poiché le imprese e anche le famiglie investono solo se hanno fiducia nel futuro. Ed è quello che manca oggi in Europa. E non si scappa: il problema principale è una moneta unica europea, che così come è stata costruita, è uno strumento che alimenta le tendenze recessive e deflazionistiche già presenti nell?economia.

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