Il nostro filosofo

Muor giovane chi è caro agli dei. Così proclamava l’antico poeta greco Menandro; e Giacomo Leopardi a fargli eco, nel suo canto Amore e morte: «Muor giovane colui ch’al cielo è caro». Ci credevano, entrambi i poeti, e tutti coloro che ripresero in seguito questo motto? O sono parole consolatorie dette così per dire, soprattutto nel periodo della Grecia antica, e più ancora arcaica, quando si dovevano giustificare le morti di tanti giovani nelle sue interminabili guerre (che le morti per stupro e violenza delle giovani non erano degne di menzione)? Così si esprime l’eroe Achille, sotto le mura di Troia, consapevole di essere di fronte a un duplice destino; se resto a combattere, mormora tra sé, «è precluso a me il ritorno, ma avrò gloria immortale; se invece andassi a casa nella cara terra dei padri, sarebbe perduta per me la nobile gloria...» (Il. IX, 413-415).
Achille privilegia la grande impresa, sceglie di morire giovane e caro agli dei, decide liberamente di iscrivere il proprio nome nel registro degli immortali. E quando un giovane non muore in battaglia, intento a procurarsi la gloria indispensabile per garantirsi il ricordo imperituro dei posteri? Che morte è quella? Quando non si è posti di fronte a un libero destino ma a un fato obbligato? Che morte è quella di Giacomo Lardelli, giovane insegnante e ricercatore di filosofia, «il nostro filosofo», come veniva affettuosamente definito? Ho già citato in una di queste colonne il suo nome, senza cognome, forse qualche lettore o lettrice ricorderà. Era poco dopo la conclusione degli esami di maturità, agli inizi dell’estate. Lodavo allora chi aveva voluto l’apertura della scuola, chi la aveva frequentata da allieva/o, chi aveva cucinato, pulito le aule, svolto i compiti di segreteria, di portineria e di biblioteca; chi aveva diretto le scuole e chi vi aveva insegnato. E che l’ultimo giorno aveva potuto tirare un sospiro di sollievo ed esclamare, dietro il filtro della maschera, «ce l’abbiamo fatta». Così mi disse Giacomo, giovane insegnante di filosofia di uno dei licei presso i quali avevo svolto il compito di esperta per gli esami di maturità. Ecco, questo stesso Giacomo, «il nostro filosofo», mi aveva suggerito, dopo che gli avevo fatto leggere il pezzo in anteprima, di aggiungere nel ringraziamento anche chi aveva svolto quei compiti di segreteria, portineria e biblioteca che a prima vista uno non ritiene indispensabili alla scuola e che io avevo, mea culpa, trascurato.
Giacomo invece non ce l’ha fatta, e non è nemmeno caduto sul campo di battaglia, ma si è egualmente riempito di gloria andando a far parte di una piccola minoranza di eletti che sono gli eroi del quotidiano, anch’essi cari agli dei.