Il premier e le lancette dell'orologio

Gerardo Morina
Gerardo Morina
09.11.2011 05:00

di GERARDO MORINA - Un dato incontrovertibile: il voto svoltosi ieri alla Camera dei deputati sul Rendiconto dello Stato ha inchiodato al muro il Governo Berlusconi denunciando la fine della sua maggioranza. Il presidente del Consiglio ne ha preso atto, è salito al Quirinale e si è detto disposto a rassegnare le dimissioni dopo l?approvazione della Legge di stabilità, opportunamente emendata, dice il comunicato del Quirinale,»alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea». Solamente in seguito a questa verifica, Berlusconi rimetterà dunque il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato. Il ragionamento svolto dal Cavaliere prima di recarsi a parlare con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conteneva l?ipotesi di chiedere la fiducia alla Camera (quello di ieri non è stato formalmente un voto di fiducia), in base al principio che la maggioranza, finché non viene sfiduciata con un voto ufficiale, va avanti. Nel caso in cui il voto di fiducia dovesse decretare la caduta del Governo, allora l?unica strada rimarrebbe quella delle elezioni. Conclusione, questa, caldeggiata da Berlusconi il quale dovrebbe comunque accettare l?altra conclusione, quella di Napolitano, cui il presidente della Repubblica arriverebbe dopo le rituali consultazioni tese a verificare l?attuabilità di tre ipotesi principali: un governo Letta (dello stesso colore, quindi, di quello che ha perso la maggioranza); un governo Monti (tecnico) e, infine, le elezioni anticipate.I principi che guidano la decisione del Cavaliere non annullano certo le critiche di chi vede in questo comportamento una semplice tecnica dilatoria. Il passaggio preoccupa per due motivi: probabilmente le consultazioni cozzeranno contro un?inagibilità di alternative, mentre la tempistica necessaria per arrivare ad una svolta non è delle più celeri. Per il presidente della Repubblica si tratterà di addentrarsi in una terra sconosciuta. L?opposizione, infatti, continua ad inseguire un unico scenario-mantra, la defenestrazione di Berlusconi senza però essere portatrice di un programma di austerità e rigore come le scadenze richiedono e tale da sostenere un governo di emergenza o di salute pubblica. A rendere improbabile una coalizione alternativa all?attuale rimane poi la distanza abissale tra gli schieramenti e l?assenza di un candidato premier.Il voto sulla Legge di stabilità non avverrà domani né dopodomani. Se poi la conclusione di Napolitano dovesse essere quella del richiamo alle urne, le formalità delle consultazioni appaiono anch?esse destinate a portar via tempo prezioso. Ed è soprattutto sotto questo profilo che le lungaggini che si frappongono per arrivare ad un risultato concreto potrebbero far pagare all?Italia un prezzo carissimo. Il motivo è che lo stallo politico italiano rischia di rimanere tale ancora per un tempo indefinito. Ma i mercati premono. E non premono necessariamente, come credono i partiti di opposizione, per la caduta di Berlusconi. Premono per una qualsiasi svolta politica che renda l?Italia stabile e credibile sul piano economico. La bufera legata alla crisi del debito ha conferito poteri sovrannazionali all?Unione europea. Non a caso uno di questi, la Grecia, si trova sotto tutela dell?Unione, mentre l?Italia deve sottostare ai controlli della Commissione. Il rischio è quindi che i ragionamenti o gli auspici inseguiti dal Cavaliere si rivelino in antitesi con il ticchettio di un orologio che fa scorrere inesorabilmente le lancette. È l?orologio dell?arbitro di una squadra che non ammette eccezioni e non rinuncia ai suoi cartellini di richiamo.