Il Progetto Ticino passa da Berna

Per farci ascoltare ci occorre una presenza in governo
Red. Online
17.03.2009 05:00

di LUIGI PEDRAZZINI - Due recenti articoli, del politologo Iwan Rickenbacher («Corriere del Ticino», 6 marzo) e del professor Renato Martinoni («Corriere del Ticino», 11 marzo), hanno toccato il tema dei rapporti fra il Ticino e il resto della Confederazione, anche alla luce del recente voto sui Bilaterali. Uniti nella constatazione che la conoscenza del Ticino a nord delle Alpi è superficiale e talvolta anche fuorviante, i due autorevoli commentatori lamentano in sostanza la mancanza di un «progetto Ticino» da proporre agli amici confederati.Sono d?accordo con loro, nel senso che anche a mio modesto parere il Canton Ticino non è oggi in grado di presentarsi con un suo definito «progetto» all?interno della Confederazione, con un suo profilo ben chiaro sul piano della propria identità, e tale da rendere giustificata una maggiore attenzione e disponibilità da parte del mondo politico svizzero (ma anche, più in generale, da parte del mondo dell?economia, della cultura e dei media). Non penso che manchino le premesse culturali e creative per costruire un progetto di questo genere; fa difetto però la volontà di coglierle e concretizzarle, complice anche un mondo politico e partitico cantonale sempre più orientato solo allo spicciolo confronto quotidiano, ai particolarismi e ai localismi, e sempre meno capace di dibattere e di unirsi attorno a visioni di più ampio respiro e di medio e lungo termine.È pure assente – e su questo punto come membro del Governo cantonale mi guardo in primo luogo allo specchio – una strategia forte e efficace di «politica estera» cantonale. Abbiamo vissuto un buon momento quando le Camere federali tennero nel 2001 una loro sessione in Ticino, ma poi non siamo stati in grado di coltivare adeguatamente e in modo duraturo il messaggio che avevamo trasmesso ai parlamentari federali, e mi riferisco soprattutto all?impegno di far capire loro l?essenza del ruolo «svizzero» che il Ticino, in maniera anche fondamentale, può giocare come ponte fra differenti paesi, culture e economie. Ciò detto, un?ulteriore considerazione va però aggiunta. Dieci anni di intensa presenza in gremi intercantonali e federali quale consigliere di Stato mi hanno convinto che quand?anche il Ticino fosse oggi portatore di un «progetto» forte e valido, ancora non avrebbe adeguata garanzia d?ascolto oltre Gottardo. Infatti, constato spesso il venir meno, in termini culturali e politici, delle vere premesse su cui si dovrebbe fondare un Paese federalista. La reciproca comprensione a livello politico non è ormai più un problema che concerne i rapporti fra il Ticino e il resto della Confederazione, ma anche le relazioni fra francofoni e svizzero-tedeschi (tant?è che gli amici governanti dei Cantoni romandi tendono sempre più spesso a organizzare conferenze latine in alternativa a quelle nazionali).Ma non solo: in numerose occasioni ho avuto l?impressione che stia aumentando anche la distanza reciproca fra le stesse regioni svizzero-tedesche, soprattutto a svantaggio di quelle periferiche che non hanno la fortuna di avere un peso significativo nel Governo o nell?amministrazione della Confederazione.Questa situazione non ci assolve ovviamente dalle nostre responsabilità, ma ci permette certamente di pensare che non basta qualche articolo sui giornali confederati, come suggerisce Iwan Rickenbacher, per modificare la sostanza delle cose, così come non è sufficiente mettere a punto un «progetto Ticino» degno di tale nome, secondo l?esortazione del professor Martinoni.Il problema, infatti, non è principalmente ticinese, ma svizzero: di una Svizzera che crede di fare un torto alla minoranza italofona quando viene abbandonata una cattedra universitaria di italianistica, e non capisce che invece ferisce soprattutto sé stessa; di una Svizzera che investe miliardi per costruire una nuova trasversale alpina senza sbocchi verso sud, perché in sostanza continua a vedere il Ticino soprattutto come la sua appendice a sud delle Alpi; di una Svizzera che organizza le sue ex regie e spesso i suoi servizi premiando quasi esclusivamente una visione aziendale a scapito di un?organizzazione federalista.Nell?ottica indicata, sono sempre più propenso a pensare che l?unico modo (o almeno quello più diretto e sicuro) per tentare di modificare in tempi brevi la situazione sia quello di tornare a rivendicare con forza e ottenere una presenza della Svizzera italiana nel Governo federale.

Luigi Pedrazzini, consigliere di Stato