Il sirtaki di Zorba

Certi ritmi entrano in vena in alcuni momenti della vita e lì rimangono. A noi che abbiamo già vissuto un po’, resta sulla rétina della memoria il sirtaki di «Zorba il greco», celebre film del 1964, una musica e una danza liberatorie sulla sabbia chiara di una riva di mare a Creta. Pochi giorni fa è morto ad Atene l’autore della colonna sonora di quel film, Mikis Theodorakis, il più grande compositore greco contemporaneo. Aveva 96 anni, fu autore e direttore d’orchestra, compose musica sinfonica, leggera e da film sulle tracce del folclore autentico e di antiche radici. Fu anche un resistente civile, combatté contro i fascisti italiani in Grecia e poi contro la «dittatura dei colonnelli» fra il 1963 e il 1973, subendo carcere, torture e l’esilio. Nel finale di quel grande film (tre premi Oscar, un magistrale Anthony Quinn nei panni di Zorba) i due protagonisti vedono crollare rovinosamente una loro teleferica costruita con speranza visionaria per trasportare il legname dalla montagna al mare. L’impresa fallisce, e anche loro due. Eppure il vecchio Zorba (uomo istintivo, cuore gonfio e sensuale) stupisce il giovane suo datore di lavoro fregandosene bellamente di un rovescio che non deve, non può rovinare la bellezza di tutto quel che sta intorno. E avvia i passi incrociati di una danza trascinante, ritmata, sempre più accelerata e inebriante, invitando il giovanotto a buttarsi anche lui in quel ballo rituale contro la malasorte. La musica di Theodorakis diventa febbrile e liberatoria, i due danzano e ridono e si abbracciano e la disgrazia sembra cosa da niente e invece la vita, fra sabbia bianca e mare azzurro e sotto un cielo grandioso, è bella e basta. A noi che eravamo molto giovani a metà degli anni 60 (e a moltissimi nel mondo intero) piacquero quel ritmo e quella anarchia filosofica, intrecciammo anche noi quei passi danzanti: sembrava l’annuncio di libertà nuove, speranze da esplorare. Forse in quella ballata libertaria c’erano senza che noi lo sapessimo i germi vaghi, ingenui ma anche seri, della stagione ribellistica del Sessantotto.
L’euforia per quel bel film in bianco e nero del 1964 fece dimenticare che esso era tratto da un romanzo del 1947 dello scrittore greco Nikos Katzantakis (1883-1957). La nuova versione italiana (editore Crocetti) permette di conoscere nel profondo il vero Zorba, il quale è un uomo che ha passato la sessantina, ha vissuto molto e molto ha morsicato e annusato dell’esistenza, ha goduto molto vino, molti paesi e molte donne, ha guardato con stupore grezzo il miracolo della realtà. Zorba, lavorante immaginoso, è tutto istinto, mescola testa e viscere, ragionamenti e sensi. Il suo giovane padrone e amico è un intellettuale che non si sente bene nella sua gabbia ragionata. Zorba gli dice che ogni uomo ha il suo Paradiso: «Il tuo sarà pieno di libri e di damigiane di inchiostro», mentre lui, Zorba, pensa a ebbrezze più vive, carnali. Però poi fa il filosofo, cantastorie stralunato e affabulatore fantastico, mescola realtà e invenzione, mito e panzane, sembra provenire dal cuore profondo della millenaria storia umana. E suona, e balla, e trae forza e grazia dalla sua chitarra e dal suo corpo. Il romanzo è visionario, magico e ridondante, sensuale, malizioso. Verso la fine accade nel libro la scena fedelmente ricreata dal film: «... Zorba si tolse le scarpe, gettò via le calze color melanzana, poi gettò via anche la camicia. ‘Guarda il mio piede, padrone!’, ordinò; ‘osservalo bene!’ Allungò la gamba, sfiorò leggermente la terra col piede, allungò l’altra, i passi si intrecciarono selvaggiamente, gioiosamente la terra risuonò.... Guardavo Zorba ballare e comprendevo la ribellione dell’uomo per vincere il peso e la materia, la maledizione ancestrale. Ammiravo la sua resistenza, la sua agilità, la sua fierezza; i suoi passi impetuosi e nel contempo elaborati imprimevano sulla sabbia la storia misteriosa dell’uomo». Noi imitammo quell’ebbrezza di ritmi solidali muovendo sui nostri prati i nostri passi giovanili imparati da Zorba. Pochi anni prima Celentano ci cantava: «Una festa sui prati, ma che bella compagnia: panini vino e un sacco di risate, e luminosi sguardi di ragazze innamorate». La nostra festa sui prati fu musicata da Mikis Thedorakis, al suo ritmo cercammo di intravedere il nostro futuro.