Pandemia

Il virus in Occidente e la cartolina dalla Cina

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Assembramenti sulla Grande Muraglia. ©Keystone
Paride Pelli
13.10.2020 06:00

L’andamento epidemiologico della COVID-19 non ci può e non ci deve lasciare tranquilli, nemmeno in Ticino. Nella vita di tutti i giorni continuiamo a credere che il peggio sia alle nostre spalle e ad agire come se fosse davvero così: è un sentimento comprensibile, tuttavia i numeri svizzeri ed europei relativi ai contagi (non alle ospedalizzazioni e alle vittime, questo va sottolineato) ci dovrebbero invitare, piuttosto, a mantenere alta la guardia e a perseguire un comportamento il più prudente e responsabile possibile in termine di igiene e distanziamento sociale. L’obiettivo è scongiurare una seconda ondata che ci porterebbe, nella peggiore delle ipotesi, ad una profonda crisi di livello globale, con ripercussioni che sarebbero devastanti sul piano economico e sociale anche alle nostre latitudini. Negli ultimi giorni, infatti, la situazione è peggiorata praticamente ovunque nel mondo e non c’è Paese dove la preoccupazione per il coronavirus non influisca sulle decisioni politiche e sulla quotidianità degli abitanti. Armiamoci dunque di responsabilità e di pazienza. La strada da percorrere è ancora lunga, almeno in Europa.

Una piccola riflessione geopolitica però, a questo punto si impone. In un simile contesto di allarmi e allarmismi risalta la strana serenità della Cina, dove di COVID-19 ormai non si parla più. Come è possibile? Nel Paese asiatico si è appena conclusa da poco la «settimana d’oro», con sette giorni di ferie per tutti per festeggiare la nascita della Repubblica, proclamata da Mao Zedong il 1. ottobre 1949. Dalle immagini, dalle informazioni dirette e dai dati sembra che la Cina sia oggi collocata su un pianeta diverso dalla Terra: folle straripanti ammassate a Pechino, Shanghai e in altre metropoli, colonne di persone pigiate all’inverosimile lungo la Grande Muraglia, con un distanziamento sociale pari a zero e mascherine facoltative. Per non parlare del boom di viaggi e di acquisti in tutto il Paese. Una situazione paradossale se pensiamo come dall’epicentro cinese di Wuhan sia iniziato tutto, con tempi e modi che saranno difficili da verificare ancora per un bel po’ di anni, vista la censura di regime.

E così, mentre le economie europee di riferimento faticano, annaspano e cercano di evitare in tutti i modi un ulteriore lockdown che sarebbe a questo punto mortifero, siamo alla probabilità, già segnalata da alcuni studi economici, che il PIL cinese registri un incremento proprio nell’annus horribilis 2020 grazie in particolare all’impennata dell’export di materiale medico-sanitario. Un vero ossimoro, verrebbe voglia di commentare, malgrado la reputazione della Cina abbia perso drasticamente punti e il mondo, Stati Uniti in primis, stia ripensando i modi di relazionarsi con il Paese che porta parecchie responsabilità nella crisi che stiamo attraversando.

Ma a parte le minacce di Trump, sorprende il fatto che la Cina non stia pagando dazio per ciò che è accaduto e che anzi, al contrario, ne stia traendo benefici economici (questo facendo naturalmente astrazione dell’alto numero di vittime che pure si sono registrate laggiù, sebbene anche in questo campo le cifre siano alquanto contraddittorie). Certo è noto come Pechino, malgrado la richiesta di oltre un centinaio di Paesi, abbia respinto l’apertura di un’inchiesta indipendente sull’origine della pandemia, così come sono pubbliche le richieste di alcuni Governi, non solo quello a stelle e strisce, di avere un indennizzo dalla Cina per quanto accaduto.

Ma non esistono istituzioni internazionali che possano regolare simili controversie e soprattutto assicurare l’esecuzione di una eventuale «condanna». Queste dispute sono destinate dunque a restare lettera morta. Possiamo trarne solo una considerazione: sebbene la gestione della pandemia sia stata caotica e fallimentare in molte democrazie occidentali che mettono la libertà dell’individuo al centro di tutto, non si può certo affermare che il sistema cinese abbia trasmesso l’immagine di una nazione politicamente interconnessa alle altre e inserita in una globalizzazione «responsabile».

Tutti ricordiamo le immagini delle strade deserte e spettrali di Wuhan in pieno lockdown e tutti osserviamo ora la Grande muraglia cinese presa d’assalto. Ma di fondo avvertiamo che qualcosa non torna, quasi fosse una esibizione forzata. E allora, continuiamo a concentrarci su di noi, sul nostro senso di responsabilità, su quello che davvero sappiamo e conosciamo circa l’andamento della pandemia, e sulle misure per farvi fronte. Qui, oggi, in un Paese democratico, dove tutto è stato trasparente, seppur difficile e doloroso, fin dall’inizio.

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