Intrappolati come a San José

Piergiorgio Baroni
13.10.2010 05:00

di PIERGIORGIO BARONI - Ha parecchie analogie con la vicenda dei minatori cileni la fiction proposta nel 1942 in un libro di 229 pagine (Edizioni Istituto Editoriale Ticinese), scritto da un ferroviere.Emilio Geiler di Bellinzona aveva ipotizzato ne "L?Espresso del Gottardo 41 è scomparso" (con traduzione in tedesco e in francese: Gotthard-Express 41 verschüttet, Le drame de l?Express du Gottard) la caduta di una doppia frana che imprigiona il convoglio nella galleria elicoidale nei pressi di Lavorgo. Circa duecento passeggeri, fra cui una quindicina di bambini, sono costretti ad organizzarsi per una sopravvivenza di più giorni, in attesa dei soccorsi. Geiler, nella descrizione, è attento ad ogni dettaglio: le premure del personale, per sistemare i passeggeri nelle carrozze (si dovrà demolire quella destinata alle merci per procurare materiale da riscaldamento), per razionare i viveri disponibili, per tenere alto il morale, anche se ad un dato momento ci sarà il tentativo, da parte di alcuni, di forzare la situazione per tentare l?uscita. E pure all?esterno della galleria viene documentata l?azione dei soccorritori, la «ricaduta mediatica», con l?arrivo di molti giornalisti che riferiranno fatti veri e verosimili.La prigionia durerà «soltanto» una settimana, durante la quale cibi e acqua verranno fatti confluire all?interno con accorgimenti simili a quelli utilizzati (ma su distanze molto più lunghe) dai soccorritori in Cile.Emerge, nel libro, l?abnegazione del personale e soprattutto del manovratore. E Geiler sa di che cosa scrive, che cosa comunica: «Quando guido un diretto, centinaia di persone mi sono affidate. Io sono responsabile della loro sicurezza (...), della loro e della mia vita. Quale motivo triste o lieto spinge queste persone a servirsi del treno? Ognuno va verso una meta, al termine del viaggio li attendono gioia o dolori. Essi si affidano a me, anche se non mi conoscono. Si può fare il macchinista in più modi: lo si può fare per guadagnare l?esistenza: io credo però che molti di noi lo farebbero (...) viaggerebbero e condurrebbero il convoglio anche senza stipendio (...) è una vocazione».Durante la «prigionia» le voci si sovrappongono: italiano, tedesco, francese e inglese, qualcuno si sente «più uguale» degli altri, e chiede un trattamento più vicino al prezzo del biglietto pagato. Altri danno prova di solidarietà e di abnegazione.La vicenda è comunque a lieto fine. Ecco, l?accostamento a quanto sta accadendo, anzi è accaduto, in Cile può sembrare forzato, irrispettoso nei confronti dei minatori e delle loro famiglie, dei loro amici: laggiù non si tratta, non si è trattato, di fiction, ma di una realtà sconvolgente, che lascia soprattutto chi ne è direttamente coinvolto, dentro e fuori dalla miniera, in stato di intuibile angoscia.Tuttavia c?è spazio almeno per una segnalazione, riandando a quel manovratore che, nel periodo di guerra, non aveva escluso che un suo convoglio potesse rimanere intrappolato dentro la galleria elicoidale che sale verso Airolo. La qualità dello scritto e soprattutto delle riflessioni impressionano davvero.