Il commento

Io è un altro

Viaggiare per accorgersene: ecco una buona ragione per viaggiare – Scrivere per accorgersene: ecco una buona ragione per scrivere e per leggere
Marco Alloni
Marco Alloni
01.12.2025 06:00

«Se si continua ad andare a Oriente si finisce a Occidente». Non so chi abbia pronunciato questa frase, forse nessuno. Ma se l’ha pronunciata qualcuno, dev’essere stato un burlone o un logico. In effetti, l’Oriente più estremo rispetto all’Occidente, se la Terra non è piatta, coincide con l’Occidente stesso, con la fine della circonferenza terracquea. Parti da Lisbona, raggiungi la Siberia e ti ritrovi prima in Canada e poi negli Stati Uniti. Poi varchi l’Oceano Indiano e approdi di nuovo a Lisbona. Quindi, a rigore, se vogliamo attenerci al nostro burlone o al nostro logico, Oriente e Occidente non esistono: sono solo convenzioni culturali. O se esistono, esistono soltanto per sfumare l’uno nell’altro, come il cielo non esisterebbe senza la Terra e la Terra non esisterebbe senza il cielo. In questo senso si potrebbe dire, forzando la mano al ragionamento del nostro burlone o logico, che più ci si spinge a Oriente da Occidente, o più ci si spinge da Oriente a Occidente, e più si cerca in definitiva... se stessi.

Dovette essere questo il segreto, inconfessato desiderio che mosse gli scrittori di ogni tempo, o almeno gli scrittori-viaggiatori, a spingersi al di là del loro alveo culturale: andare a conoscere gli altri per tornare infine a se stessi. O per meglio dire: andare verso gli altri per capire che in fondo siamo sempre noi stessi. «Moi est un autre» diceva Rimbaud, rivelando che in fondo la più alta poesia si sposa in qualche modo con la saggezza popolare: «Tutto il mondo è paese».

Marco Polo, Ibn Khaldun, Erodoto: grandi viaggiatori, non c’è dubbio. Ma poi anche Goethe, Flaubert, Loti, Terzani: gli scrittori che da Occidente cercarono l’Oriente non si contano. Cosiccome non si contano quelli che da Oriente (Kundera, Solzhenitsyn e molti altri) cercarono l’Occidente. Ma a che pro? Per il semplice gusto di mutare i propri scenari esistenziali, di esplorare terre sconosciute? No, per riconoscere quella che da sempre è l’intima vocazione di tutti gli scrittori nonché di tutti i veri viaggiatori: riconciliarsi con l’universalità dell’umano, che in definitiva è lo scopo ultimo del viaggio come della letteratura.

O esiste forse vera letteratura che non sia prima o poi diventata letteratura universale, in cui non si siano trovati a riconoscersi lettori di ogni angolo del globo? A ben vedere, ogni grande letteratura, anche la più «regionalistica», è letteratura del mondo e per il mondo: ovvero letteratura dell’universalità dell’umano. E i suoi grandi temi non sono mai temi occidentali o orientali ma temi dell’uomo. Il potere, l’amore, la morte, la giustizia, la libertà, la colpa: possiamo credere che abbiano connotazioni diverse a seconda che vengano trattate a Oriente o a Occidente, ma alla fine ricadono sempre nello stesso alveo. E se provengono da Mo Yan o da Norman Mailer, ci riportano comunque sempre a noi stessi, all’universalità dell’uomo.

Viaggiare per accorgersene: ecco una buona ragione per viaggiare. Scrivere per accorgersene: ecco una buona ragione per scrivere e per leggere.