Italia: immigrazione e "buonismo"

Rivolta di Rosarno, la soluzione non è il terzomondismo
Piero Ostellino
12.01.2010 08:06

di PIERO OSTELLINO - Con la sola eccezione di frange minorita­rie di idealisti ad oltranza, per di più di matrice religiosa, che vedono nell'acco­glienza all'immigrazione di massa, compresa quella clandestina, una forma di causa uma­nitaria della quale farsi interpreti, e di altret­tanto minoritari e irriducibili terzomondisti, per lo più di matrice ideologica di estrema sinistra, che ci vedono una sorta di risarcimento del ca­pitalismo al sottosviluppo delle popolazioni ric­che del Nord del mondo a quelle povere del Sud del mondo, l'ondata immigratoria che ha som­merso il Paese non è vista male dalla maggio­ranza degli italiani. Che ci trovano manodope­ra a basso prezzo per quei lavori che i giovani locali non vogliono più fare. Dalle badanti per i più anziani, alle baby sitter per i più piccoli, per non parlare del mondo dell'economia, dal­l'edilizia alla piccola e media industria che pro­duce ai margini della legalità in termini di di­ritto del lavoro e all'agricoltura, dove il brac­ciantato stagionale è la regola, l'immigrazione è una risorsa per la società civile e per l'econo­mia di un Paese dove l'età tende ogni giorno ad alzarsi tanto da farne un Paese in gran parte di pensionati e di vecchi e in minima parte di «figli di papà» che restano in famiglia, senza lavoro, fino a oltre i trent'anni.D'altra parte, poiché ai propri interessi, se non addirittura ai propri vizi e in assenza di una politica dell'immigrazione razionale e coeren­te, bisogna pur sempre trovare una giustifica­zione socio-politica, se non etica, il disagio ine­vitabile delle popolazioni autoctone che ven­gono a contatto diretto con culture, costumi, abitudini, religioni diversi dai propri è etichet­tato volentieri come «razzismo» perché così vuo­le la polemica politica, in particolare nei confronti di quel fenomeno sociale ano­malo per la tradizione politica na­zionale che è la Lega nel Nord del Paese. Tutto ciò spiega perché mol­ti politici, intellettuali, giornali, ab­biano registrato e interpretato - a seconda della propria coloritura po­litica - la rivolta di Rosarno in Ca­labria delle popolazioni locali con­tro gli immigrati neri, da sinistra come una ulteriore prova di «raz­zismo» da parte di frange minori­tarie di destra, paragonate addirit­tura all'americano Ku Klux Klan, ovvero, da destra, come una testi­monianza della legittima reazione della popolazione «bianca» di fron­te all'eccessiva indulgenza della si­nistra per un'immigrazione «nera» incontrollata e in gran parte clan­destina. In entrambi i casi si trat­ta, però, di una interpretazione «po­liticamente corretta» che consiste nel seppellire sotto una montagna di ipocrisia le vere dimensioni del problema, che riguardano, prima che le condizioni sociali ed econo­miche nelle quali si è male integra­ta l'immigrazione, una questione di ordine pubblico e di legalità.Detta in termini brutali, la questio­ne è la seguente: fino a quando la manodopera di immigrazione ri­sponde alle esigenze e alle aspetta­tive economiche delle organizzazio­ni, legali o illegali, che la impiega­no, il problema non esiste né per quelle né per l'opinione pubblica na­zionale. Nessuno, prima della rivol­ta, si era chiesto, e tanto meno se ne era preoccupato, come vivessero gli immigrati impiegati nelle campa­gne calabresi a raccogliere i prodot­ti poi venduti sul mercato a prezzi, appunto, di mercato. Eppure, non era affatto un mistero che gli immi­grati non fossero pagati a prezzo di mercato, ma sottopagati, per non dire brutalmente sfruttati, dalle or­ganizzazioni, per lo più criminali o controllate dalla criminalità, loca­li e vivessero in condizioni subuma­ne sotto il profilo igienico. Una vol­ta scoppiata la rivolta dei «bianchi» contro i «neri», gli immigrati sono diventati il «bovero negro» del pie­tismo e della retorica nazionali. Ora, che i tentativi di linciaggio del «di­verso» dovessero essere repressi con la forza della legge, è un fatto indi­scutibile; un altro è che si sia aspet­tato che le cosche incoraggiassero e organizzassero la persecuzione de­gli immigrati di colore per ragioni strettamente di natura economica quale l'assorbimento sempre più pre­cario della (peraltro scarsa) mano­dopera locale anch'essa sotto il con­trollo della criminalità e a condizio­ni non meno vessatorie.La verità nuda e cruda è che situa­zioni come quella di Rosarno sono destinate probabilmente a ripeter­si in tutto il Sud per la semplice ra­gione che al Sud lo Stato non c'è più da tanto tempo, ha perso il control­lo del territorio, che è finito, con tut­te le attività che vi si svolgono, nel­le mani della criminalità organiz­zata: la ?Ndrangeta in Calabria, la Camorra in Campania, la Mafia in Sicilia. Ma è anche vero che non lo si può dire, e tanto meno lo può am­mettere lo Stato, perché altrimenti si dovrebbe concludere che l'Italia non è un Paese civile, ma solo una «espressione geografica» e non del­le più felici. Basti pensare che nelle regioni dove è la criminalità a co­mandare, il lato surreale della si­tuazione è che la sicurezza della maggioranza dei comuni cittadini è garantita dalla criminalità stessa che - proprio come lo Stato con le tasse in un Paese «normale» - assi­cura la propria protezione dai cri­mini cosiddetti minori grazie al «pizzo» che le attività imprendito­riali le pagano per poter esistere e produrre. Un paradosso doloroso, e anche parecchio vergognoso, da am­mettere, ma uno dei tanti parados­si dell'Italia che conosce un artico­lato e diffuso sistema legale che met­te non solo tutti i suoi cittadini, ma anche gli immigrati, su un piano di parità di fronte alla legge solo nel Nord culturalmente oltre che eco­nomicamente sviluppato. Fino a quando le forze politiche di ogni co­lore non riconosceranno che quello dell'immmigrazione è un problema che non si risolve col «buonismo» dei pater noster o con gli ideologi­smi pseudo-guevaristi del terzomon­dismo, ma sul terreno legale del Di­ritto del lavoro e dell'ordine pubbli­co, in una parola, col ripristino del controllo, da parte dello Stato, su metà del Paese oggi nella mani del­la Grande criminalità, non se ne esce. E, a ogni rivolta, quale ne sia l'origine, saranno la retorica e l'ipo­crisia ad avere il sopravvento sul senso comune e sulla politica. Sen­za soluzione possibile.