La bella e la brutta politica

di FABIO PONTIGGIA - Sole e nuvole si sono alternati nell'intensa giornata politica vissuta ieri dal Ticino. Era destino, visti i chiaroscuri di questa estate meteorologicamente anomala. Al di là di ogni retorica, il volto bello della politica si è mostrato in piazza della Riforma. Al di là di ogni moralismo, il volto brutto della politica ha lanciato il sasso, nascondendo subito la mano, sulla piazza virtuale di Facebook. A Lugano il Consiglio federale ha incontrato la popolazione, si è immerso nella folla dei cittadini e dei turisti, senza barriere, senza troppe formalità, con quella prossimità e quella familiarità che forse solo nella nostra piccola democrazia sono immaginabili e possibili. Sul social network più frequentato al mondo, un ignobile individuo – pare recidivo – ha postato un inqualificabile attacco-minaccia al presidente del Consiglio di Stato Manuele Bertoli (cfr. a pagina 7). Da un lato, un evento storico («C'est du jamais vu», hanno detto a caldo alcuni alti funzionari federali sorpresi e quasi commossi per l'accoglienza riservata dai ticinesi ai sei ministri); dall'altro lato, una degenerazione del confronto politico che mai si vorrebbe né vedere né sentire alle nostre latitudini, nemmeno per scherzo (e l'ignobile utente di Facebook si è premurato di avvertire: «Non scherzo»). Certo, la maleducazione che si traduce in rabbia politica e violenza (per ora solo) verbale attraverso la tastiera del computer o dello smartphone non va enfatizzata nella sua portata; ma minimizzare questi episodi, facendo spallucce o liquidandoli come battutacce da osteria del tempo che fu, sarebbe come sorridere distrattamente alla prima canna o alla prima sniffata del proprio figlio. Sono scricchiolii che lasciano il segno, per quanto poco visibile, nell'edificio della convivenza. Lo si è già detto e scritto, ma va ripetuto: le divergenze politiche, per quanto profonde, non giustificano mai il superamento del confine che divide il campo aperto del confronto, anche duro, polemico, passionale, ma corretto, dalla macchia del brigantaggio e del cecchinaggio, dove l'insulto, l'aggressione, i colpi bassi, le minacce più o meno serie sono metodi cocciutamente praticati. È la differenza tra la civiltà e la barbarie. E non c'è barbarie più insidiosa di quella che viene presa sottogamba o scambiata per cattiva e maleducata goliardia. È vero: il consigliere di Stato Manuele Bertoli, dopo la votazione del 9 febbraio, ha scelto di fare l'incendiario, chiuso nelle sue dogmatiche certezze sulla asserita scelta sbagliata fatta dalla grande maggioranza dei ticinesi, senza il minimo tentativo di mettersi nei panni di chi si è associato a quel pronunciamento quasi corale. Ma per dirgli che a sbagliare, forse, è lui non si può fare ricorso ai metodi mafiosi. La lingua italiana ha un lessico talmente ricco e bello da offrire a chi non la pensa come il presidente del Governo innumerevoli possibilità di esprimere critiche di disapprovazione. Al limite ci sono i fischi (come ieri). E per finire, fra otto mesi, ci saranno le urne. Questa, e solo questa, dev'essere la politica. Quella bella, quella che s'è vista e respirata in piazza a Lugano, al di là della diversità delle idee e delle bandiere di partito. La politica fondata sul rispetto dell'altro, senza se e senza ma.