La crisi, le idee, le ideologie

Occorre confrontare visioni prospettiche, non dogmatiche
Giancarlo Dillena
Giancarlo Dillena
17.06.2009 05:01

di GIANCARLO DILLENA - Sarebbe illusorio pensare di far fronte alla crisi che stiamo attraversando moltiplicando semplicemente le misure d?urgenza. Se esse sono indubbiamente necessarie in una prima fase, per arginare e incanalare i contraccolpi dello tsunami che ha investito la finanza mondiale, i passi successivi non possono prescindere da una riflessione più approfondita sull?origine e sulla natura del fenomeno. Per comprendere davvero ciò che è successo e per evitare che si ripeta. Ma anche per evitare che i rimedi adottati sotto la pressione dell?emergenza, come spesso succede, si rivelino portatori di ulteriori guai, magari peggiori.In questo senso è certamente opportuno – com?è stato fatto a Lugano in occasione della presentazione dell?ultima pubblicazione dell?Istituto Bruno Leoni – richiamare l?esigenza di ancorare il dibattito a precisi fondamenti concettuali, superando un certo pragmatismo, inteso come navigazione a vista, guidata e condizionata dai risultati a breve. Ma in questo momento il maggior rischio incombente è quello di slittare verso una rinnovata contrapposizione ideologica, fatta di schemi rigidi e incompatibili. Con da una parte coloro che nella crisi odierna vedono l?opportunità di far risorgere dalla proprie ceneri visioni totalitarie radicalmente avverse al libero mercato, per loro espressione di quel capitalismo «inesorabimente destinato ad essere travolto dalle proprie contraddizioni» (come insegnava la dottrina marxista). E dall?altra i paladini di un approccio al mercato di segno opposto ma altrettanto ideologico, convinti che il dissesto attuale sia solo il frutto bacato di una liberalizzazione distorta nel suo funzionamento «naturale» proprio da quei regolatori che avrebberop preteso disciplinarla e arginarla. Un confronto di questo tipo, va sottolineato, avrebbe anche qualche vantaggio. Per cominciare quello di far uscire allo scoperto quanti negli ultimi anni si sono attestati su posizioni sfumate e sovente opache, fino a proclamarsi a parole «liberali», ma continuando a propugnare scelte e indirizzi che di liberale hanno ben poco. In secondo luogo - ed è l?aspetto più rilevante - di sottoporre le politiche ibride figlie del pragmatismo di corto orizzonte ad una critica sistematica e sostanziale, portandone in luce limiti ed ambiguità. Ma è maggiore il pericolo di un irrigidimento dogmatico, con il risultato di impedire un vero dibattito critico, orientato al futuro e non al passato. In effetti chi ha qualche anno sulle spalle e un po? di memoria non può non ricordare gli effetti perversi dell?ideologismo che ha caratterizzato certe passate stagioni. Tutto veniva allora ossessivamente ricondotto ad uno schema destra-sinistra, buoni-cattivi, «tuttogiusto-tuttosbagliato», sulla base di visioni rigidamente impermeabili non solo l?una all?altra, ma anche agli elementi critici che non si lasciavano integrare allo schema.Proprio la visione liberale presenta le migliori premesse per sfuggire ad una involuzione di questo tipo. Poiché è intrinsecamente aperta, fondata sul dubbio, fatta di metodo piuttosto che di verità assiomatiche. E proprio nella misura in cui anche coloro che si riconoscono nel suo figlio più profilato, il liberismo economico, rimangono fedeli a questi principi essenziali, possono davvero sviluppare e rafforzare quella dinamica aperta che sola può offrire vie d?uscita risolutive alle odierne difficoltà.Ciò che occorre, per sfuggire alla duplice trappola del pragmatismo riduttivo e del dogmatismo paralizzante è il ritorno ad un autentico e sostanziale confronto di idee, non di ideologie. Cioè di visioni prospettiche ma non dogmatiche, basate su interpretazioni dei dati di realtà che diano loro un senso ma non pretendano di assoggettarli forzatamente ad una rappresentazione astratta e totalizzante, che rifiuta ciò che in essa non è integrabile. Questo è il vizio delle ideologie. Che proprio per questo tendono inesorabilmente ad allontanarsi da quei principi democratici essenziali che sono la ricerca del consenso attraverso il libero confronto delle idee e la persuasione attraverso la forza delle argomentazioni. L?ideologia, una volta stabilito «ciò che è buono e giusto», diventa rapidamente insensibile, per non dire insofferente, nei confronti di questi aspetti. Poiché chi si ritiene portatore di una qualsiasi verità dogmatica si sente in dovere di affermarla comunque, con qualsiasi mezzo, senza badare alle esigenze, alle preoccupazioni e agli argomenti altrui, che considera in ogni caso «sbagliati» per definizione. Chi invece crede davvero che la libertà sia la premessa indispensabile affinché una società possa esprimere il meglio di se stessa (e non solo sul piano economico) e vuole quindi garantire a sè e a tutti gli altri la libertà di confrontarsi in modo criticamente aperto e lucido con la realtà, sa di doversi guardare, prima che da ogni altro vincolo, proprio da quelli che impone l?ideologia.