Ventisei Cantoni

La gravità delle Alpi

Nella storia delle comunità alpine la capacità di ripartire è potente
Moreno Bernasconi
10.06.2025 06:00

Nella natura delle donne e degli uomini che abitano le Alpi è radicata una consapevolezza antica. Quella che gli viene dal dover alzare lo sguardo verso l’alto per vedere l’orizzonte; quella che spinge i padri ad indicare ai figli un lassù che incute rispetto e rende inevitabilmente umili al cospetto della grandezza e della forza della Natura. «Séraphin ha alzato il braccio, tiene l’indice teso sopra la sua testa… là dove c’è lo strapiombo. Lassù in alto, sui bordi delle pareti, sulla cresta, essa incombeva, perché ricoperta, ai margini del vuoto, dallo spessore del ghiacciaio. Una frangia luminosa, vagamente trasparente, con riflessi verdi e blu. Era la frattura, lassù, dei ghiacci… Ed è sempre caduta, fin dai primordi dei ricordi; i vecchi ne parlavano ai loro tempi, e fin da quando erano bambini ne avevano sentito parlare dai loro vecchi…».

In questi giorni di tragica afflizione degli abitanti di Blatten in Vallese, le cui case sono state seppellite da una valanga di rocce e ghiacci del Piccolo Nesthorn, val la pena di rileggere le pagine di «Derborence» di Charles Ferdinand Ramuz, capolavoro letterario che si ispira alla frana dei Diablerets del 1714. Ramuz ha descritto come pochi altri nei suoi romanzi la natura profonda dell’homo alpinus e quanto la montagna incombente segni in profondità la sua indole e la sua visione del mondo. In una lettera scritta a Denis de Rougemont e pubblicata in un numero speciale della Rivista francese Esprit del 1937, dedicato interamente alla Svizzera e al suo genius loci, Ramuz sottolinea le profonde differenze fra chi ha vissuto le vicende storiche del continente europeo da abitante delle Alpi, e chi invece le ha vissute da abitante delle pianure a Sud e a Nord delle Alpi: «La Svizzera è il Paese della verticale, con tutte le conseguenze che la sua topografia alpina comporta e che incide sul carattere dei suoi abitanti. Si distingue in loro una “gravità”. Ad elevarsi si sente il proprio peso, a scendere altrettanto, e su un pendio l’essere umano non si muove come sul piano orizzontale». Il grande storico francese Fernand Braudel, nella sua opera monumentale sul Mediterraneo (di cui le Alpi - affermava - sono parte geopoliticamente integrante) ricordava dal canto suo che nelle pianure dello spazio mediterraneo gli imperi hanno potuto realizzare facili e speditive conquiste, le scorrerie degli eserciti hanno piegato la resistenza delle popolazioni e i governi hanno assunto talvolta i tratti del dispotismo. In queste terre alte («con le loro montagne straordinarie, la disciplina collettiva, la qualità dello spessore umano»), la libertà repubblicana ha resistito agli imperi. La montagna è minaccia ma anche baluardo; che protegge e favorisce una libertà repubblicana basata sulla solidarietà.

Nella storia delle comunità alpine, la capacità di ripartire e ricostruire è un fil rouge potente tanto quanto la furia della natura. Di cosa è simbolo, se non di questa resistenza e capacità di ricostruzione, la geniale chiesa di Mario Botta a Mogno, eretta sulle macerie dell’antica chiesetta di San Giovanni Battista spazzata via da una valanga il 25 aprile del 1986? In quanto donne e uomini delle Alpi, vien da dire «Siamo tutti di Blatten», di Bavona e Vallemaggia, di Bondo… E risalendo indietro nei secoli, siamo tutti di Goldau, di Derborence o di Biasca … Da secoli, gli abitanti della Svizzera alpina convivono con la «gravità» che comporta la condizione verticale, con il male endemico delle valanghe, delle buzze e frane e le piene improvvise. Convivono accomunati dall’umiltà che comporta il sentirsi infinitamente piccoli e indifesi di fronte alla potenza maestosa delle montagne e solidali di fronte alla disgrazia, quando si abbatte su antichi abitati. Le parole del sindaco Matthias Bellwald di fronte alla catastrofe di Blatten sono emblematiche dello spessore umano degli abitanti di queste nostre contrade alpine: «L’inimmaginabile è accaduto. Abbiamo perso il nostro villaggio. Ma non abbiamo perduto il nostro cuore. So che abbiamo degli amici per aiutarci ad offrire un futuro a Blatten». Alzando lo sguardo al cielo e abbracciando i suoi colleghi di municipio ha pronunciato queste parole: «Sappiamo dove le nostre case debbono essere ricostruite. Dopo la lunga notte, la luce del mattino si leverà di nuovo». Siamo tutti di Blatten.