La Logistica e l'isteria collettiva

di FABIO PONTIGGIA - L'intero sistema politico sembra vivere oggi permanentemente con il batticuore e i nervi a fior di pelle: tutti accosciati sui blocchi di partenza, pronti a scattare (con proclami, denunce, atti parlamentari, interventi sui blog e sui social network) lungo il rettilineo dell'indignazione pubblica non appena la pistola dell'attualità spara un colpo (o qualcos'altro che la buona educazione suggerisce di non nominare). Le partenze false non si contano, ma le squalifiche non esistono e i concorrenti tornano tutti sempre lì, sui blocchi, in attesa del botto successivo, per bruciare sui riflessi i concorrenti. Ci sono questioni sulle quali questa specie di isteria collettiva si esprime in forme particolarmente acute. Le disfunzioni nella Sezione della logistica (il settore dell'Amministrazione cantonale, dipendente dal DFE, che si occupa, tra le altre cose, degli edifici dello Stato in cui lavorano gli impiegati e i docenti) sono oggi in testa alla hit parade. È sufficiente che un rubinetto non funzioni, che uno sciacquone scarichi male o che una ragnatela appaia nell'angolo del soffitto di un ufficio, perché si solleciti un'inchiesta. Aveva ragione Giordano Bruno nel dire che «chi falla in appuntar primo bottone, né mezzani né l'ultimo indovina». La toppata iniziale è stata l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Sezione della logistica dopo il caso Chit, in totale dispregio della lettera e dello spirito della legge sul Gran Consiglio, che prevede questa opzione esclusivamente «allorché eventi di grande portata istituzionale nel Cantone richiedano uno speciale chiarimento» (è bene ripetere: «eventi di grande portata istituzionale»). Se il metro per misurare la portata istituzionale degli eventi fosse quello utilizzato nel caso della Logistica, la Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe diventare permanente, con un sostanzioso budget annuale a disposizione per mandati a consulenti e periti esterni. L'ultimo bottone appuntato male è stato quello del nuovo stabile che ospita a Bellinzona diversi servizi del Dipartimento del territorio. Un gruppetto di funzionari, probabilmente scontenti della nuova sistemazione, ha scritto ad un portale assai ricettivo denunciando presunte disfunzioni e si è scatenato un putiferio. Lo stesso portale ha poi avuto il buon senso o il buon gusto di mandare sul posto un cronista con gli architetti che hanno progettato l'edificio e con il funzionario responsabile del progetto: il presunto nuovo scandalo, che aveva già attivato atti parlamentari e domande di indagini, si è sgonfiato di fronte alla constatazione che la maggior parte delle disfunzioni denunciate non ha trovato riscontro. Una figura barbina per tutti coloro che si erano letteralmente buttati dai blocchi di partenza, come il mitico Ben Johnson, per essere i primi a farsi interpreti dell'immaginata indignazione pubblica. Complice la visibilità assicurata da Facebook, Twitter e compagnia cantante, si sta perdendo il senso della misura. Nella Grande rete c'è quasi più agitazione e nervosismo tra i politici che nel popolino. Un'agitazione e un nervosismo che spesso si autoalimentano a colpi di post e cinguettii poco razionali e molto umorali. La Commissione parlamentare d'inchiesta in fondo lo aveva riconosciuto già sul caso Chit (che portò anche all'iniquo provvedimento del Governo nei confronti dell'allora capo della Sezione della logistica, SL): «Il caso Chit SA – si legge nel rapporto finale -, rimanendo come tale grave, si trova ridimensionato per quel che riguarda la SL e in genere l'Amministrazione cantonale, soprattutto rispetto alla gravità dei termini con cui se ne era parlato, anche nei consessi parlamentari». Il nuovo «caso» non solo si è ridimensionato, ma – come detto – si è del tutto sgonfiato.