L’editoriale

La memoria per formare la coscienza

Il commento del direttore Paride Pelli per sottolineare la Giornata del 27 gennaio nella storia
L’illustrazione di Claudio Cadei per il Giorno della memoria. ©CdT/Claudio Cadei
Paride Pelli
27.01.2021 06:00

Ricordiamoci di non dimenticare. Soprattutto in un anno come questo – che ha visto i nostri vecchi rinunciare alle più basilari libertà a causa della minaccia pandemica – è auspicabile e doveroso anche verso di loro focalizzare ancora di più la nostra attenzione sul tema della memoria e sul necessario sforzo del ricordo e della sua trasmissione. Mai come oggi, infatti, la pratica della memoria è pericolosamente sotto tiro: velocità, fake news, social media pervasivi e fuori controllo, eccessiva fiducia nello stoccaggio digitale non solo delle informazioni ma pure dei sentimenti rappresentano delle minacce, tra tante, a un uso della memoria che non sia solo di circostanza o strumentale.

Eppure la memoria, ognuno di noi nel profondo lo sa, rimane una e una sola, e permette alla nostra comunità di non sfaldarsi, di unirsi nel ricordo di quello che è stato e che – in alcuni casi di infinita tragedia – non dovrà assolutamente più essere. È la ragione per cui lo spirito forte di solidarietà che ci ha accompagnato in questi dieci mesi – che abbiamo trascorso tutti uniti a combattere un subdolo flagello che segnerà per sempre le nostre esistenze – deve rinforzarsi più che mai oggi in un Giorno delle memoria un po’ atipico (non sono previsti eventi in presenza a causa delle misure restrittive anti COVID-19) ma non per questo meno importante, meno significativo. La data del 27 gennaio, in Ticino, è stata riconosciuta dieci anni fa per ricordare tutti i genocidi della storia a partire dall’enorme tragedia della Shoah, poiché lo stesso giorno del 1945 l’Armata Rossa liberava il campo di concentramento di Auschwitz, in mezzo a un’Europa oltraggiata, messa a ferro e fuoco, piegata e infine devastata dal nazismo. Per i sopravvissuti di allora l’ultimo sentimento possibile, tanto drammatiche erano state le prove subite, era quello della speranza. Attorno a loro non v’erano che morti e macerie. Eppure molti tra essi sono riusciti in qualche modo a ripartire, a continuare a vivere più che a sopravvivere, a rielaborare, a metabolizzare per quanto possibile quelle indicibili esperienze.

Ci accostiamo al dramma loro e dei loro discendenti con assoluto rispetto e una certa preoccupazione circa il presente: non sarà mai abbastanza ribadire, nel Giorno della memoria ma anche in tutti gli altri, che ogni estremismo, ogni tentazione razzista, ogni pensiero «suprematista» non fa che riportarci indietro nel tempo, e non certo avanti. Ecco perché il 27 gennaio va sottolineato e celebrato sempre, anche a distanza, anche in modalità virtuale, anche solo con un momento di raccoglimento e di riflessione in famiglia, per sensibilizzare soprattutto i più giovani, che rappresentano il nostro futuro. Non tanto per rivangare un passato di dolore, ma per formare una solida coscienza civile impegnata nella lotta all’odio e all’indifferenza. Sì, ricordiamoci di non dimenticare.

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