Il commento

La modernità di Carlo Cattaneo

Il commento di Carlo Lottieri
La tomba di Carlo Cattaneo al cimitero Monumentale di Milano.
Carlo Lottieri
Carlo Lottieri
05.02.2019 06:00

Uno dei tratti più caratteristici di Carlo Cattaneo risiede nel suo essere stato un intellettuale calato nel vivo della realtà del proprio tempo. Filosofo e giurista, teorico della politica e militante della causa risorgimentale, non ha mai considerato la ricerca scientifica e la riflessione filosofica quali attività puramente teoretiche, ma al contrario tutta la sua esistenza – a Milano come in Ticino – è all’insegna di un proficuo dialogo tra l’universo del sapere e quello del fare. Erede della lezione dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria, oltre che allievo di Giandomenico Romagnosi, Cattaneo è ricordato in primo luogo per il suo pensiero politico e per quanto fece durante le Cinque giornate milanesi, quando ebbe un ruolo cruciale nella rivolta contro il dominio austriaco e al tempo stesso cercò di evitare che la Lombardia finisse sotto il controllo del Regno di Sardegna, che egli giudicava arretrato, militaresco, illiberale. Nel corso dell’Ottocento, per giunta, Cattaneo è stato il principale interprete italiano del filone democratico, laico e repubblicano, oltre che il fautore di una soluzione federale. Interprete di una prospettiva illuminista molto aperta al dialogo, egli fa sua quella cultura che valorizza la scienza e confida nel progresso. Il suo positivismo, però, non ha nulla di manicheo, dato che egli si sforzò sempre di contemperare esigenze diverse e di far reciprocamente fecondare i risultati di discipline tra loro anche molto distanti. È significativo che il suo lascito intellettuale sia in larga misura da ricondurre a quella rivista («Il Politecnico») che fondò nel 1839 e che, come il titolo medesimo evidenzia, raccoglieva contributi di tante discipline allo scopo di favorire quello che Romagnosi aveva chiamato l’«incivilimento» della società. Nel primo numero della pubblicazione Cattaneo sottolineava come lo scopo dell’iniziativa fosse la conoscenza «di quella parte di vero che dalle ardue regioni della scienza può facilmente condursi a fecondare il campo della pratica, e crescere sussidio e conforto alla prosperità comune ed alla convivenza civile». Sulle pagine del giornale diretto da Cattaneo, dunque, la filosofia e la letteratura incontrano le questioni più cruciali del dibattito pubblico, la scienza s’intreccia con la tecnologia, il diritto dialoga con l’economia, e via dicendo. Già in tutto ciò è facile cogliere come Cattaneo sia davvero un filosofo alla lombarda: persuaso, insomma, che le questioni operative abbiano la medesima dignità di quelle speculative, e che non si debbano abbracciare né un astratto spiritualismo, né una visione ideologica pronta a sacrificare la realtà sull’altare di principi astratti. Per questa ragione, a dispetto dell’essere stato pure lui repubblicano, forse nessuno studioso gli è più distante di Giuseppe Mazzini e non solo perché quest’ultimo era avverso a ogni ipotesi federale. Quando le vicende italiane lo costringono a lasciare Milano, egli approda a Lugano, aiutato soprattutto da Stefano Franscini. Se già negli anni Venti aveva collaborato con l’amico ticinese alla traduzione della Storia della Svizzera per il popolo svizzero di Johann Heinrich Daniel Zschokke, nell’ultima parte della sua vita i molti viaggi nella Confederazione gli permettono di conoscere sempre meglio le istituzioni elvetiche, basate sull’autogoverno: una realtà nella quale, a più riprese, aveva individuato un modello anche per l’Italia. Il forte senso della realtà che caratterizzava Cattaneo lo tenne così lontano da ogni estremismo. È pure significativo che prima d’immaginare una Lombardia indipendente egli avesse auspicato una riformulazione in senso federale dell’Impero asburgico. Soltanto quando si rese conto dell’impossibilità di realizzare tutto ciò egli iniziò a perseguire una soluzione più radicale, ma senza mai accettare l’idea che la sua Lombardia potesse essere annessa al regno dei Savoia. In uno dei suoi testi più brillanti, le Notizie naturali e civili su la Lombardia del 1844, Cattaneo sottolinea come la vocazione storica dei lombardi fosse all’operosità, agli scambi, al dialogo, a un incontro di saperi che si è storicamente tradotto in produzione e progresso. Con quelle parole egli intendeva descrivere la sua terra, ma in qualche modo stava anche delineando un modello ideale. D’altra parte, il confronto di posizioni diverse gli appariva una condizione fondamentale perché una società potesse svilupparsi nella libertà, mentre l’intolleranza e il dogmatismo erano considerati gravi impedimenti sulla via della crescita. Aperto al confronto con tutti, non avrebbe mai pensato che potessero esistere proposte teoriche da non prendersi in esame, da demonizzare, scartabili a priori sulla base di questo o quel pregiudizio. Se si considera quanto ancora oggi sia spesso difficile accettare la libertà di pensiero e il confronto tra idee contrastanti (perfino in ambito accademico), la sua lezione rimane attualissima. E anche per tale motivo merita di essere costantemente tenuta presente.