Editoriale

La sicurezza di Israele e i crimini di guerra

Non si placano le polemiche dopo le dichiarazioni di Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja
©Abir Sultan
Osvaldo Migotto
22.05.2024 06:00

Non si placano le polemiche dopo le dichiarazioni dell’avvocato britannico Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) dell’Aja, che lunedì ha invocato mandati di cattura per i vertici di Hamas e per il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Le accuse mosse nei loro confronti da Karim Khan sono gravissime: crimini di guerra e contro l’umanità. Ieri Yoav Gallant, ministro della Difesa dello Stato ebraico, pure lui accusato di crimini di guerra a Gaza, ha definito «un parallelo disgustoso» il fatto che il procuratore del Tribunale penale abbia emesso mandati di cattura, sia per la leadership israeliana, sia per quella di Hamas. Gli Stati Uniti, che come Israele non riconoscono la CPI, hanno duramente criticato la presa di posizione di Karim Khan.

Secondo il New York Times (NYT) la mossa di Khan, ossia la richiesta ai giudici della Corte di mandati di arresto per tre leader di Hamas e per due alti funzionari israeliani, rappresenta un evento eccezionale per gli standard della CPI. Invece di aspettare che i giudici firmassero i mandati, il procuratore capo ha rivelato i suoi piani in un annuncio registrato sul sito web della Corte.

Non siamo in grado di visionare e verificare le prove raccolte dal procuratore capo della CPI prima di invocare i suoi mandati di cattura, ma è evidente che il 7 ottobre dello scorso anno nei territori israeliani a ridosso del confine con la Striscia di Gaza i terroristi di Hamas si siano macchiati di crimini orribili nei confronti dei civili israeliani. Inoltre inorridisce il fatto che altre decine di cittadini dello Stato ebraico siano da mesi ostaggi di miliziani palestinesi che di umano hanno mostrato ben poco.

La domanda che in molti si pongono da tempo, anche in Israele, è se ciò sia sufficiente a giustificare la punizione collettiva a cui l’intera popolazione della Striscia di Gaza è sottoposta da quando il Governo Netanyahu ha deciso di lanciare una guerra senza quartiere contro le brigate di Hamas. Terroristi che, come noto, hanno creato spesso i loro rifugi in aree densamente popolate o addirittura sotto le scuole e gli ospedali, costringendo buona parte della popolazione palestinese nel ruolo di veri e propri scudi umani.

Va altresì notato che l’esercito israeliano, come ha ripetuto a più riprese il presidente statunitense Joe Biden, non ha fatto abbastanza per evitare che i civili palestinesi pagassero un prezzo troppo alto nello scontro militare in atto nella Striscia. Le cifre dei morti e dei feriti palestinesi causati dallo spietato conflitto e dalla drastica riduzione degli aiuti fatti giungere alla popolazione locale probabilmente non sono così alte come quelle denunciate da Hamas, ma avendo Israele fatto di tutto per tenere lontano dalla Striscia di Gaza mass media e giornalisti, nasce il sospetto che non siano stati fatti tutti gli sforzi possibili per rispettare il diritto umanitario internazionale.

Medici senza frontiere, nel suo recente rapporto annuale, ha definito la Palestina il Paese più pericoloso del mondo per i professionisti dei mass media, con oltre 100 reporter uccisi a Gaza in sei mesi. Non è certo stata una buona mossa quella del procuratore capo della CPI di richiedere nello stesso momento i mandati di cattura per i vertici di Hamas e per il premier israeliano, ciò ha dato l’impressione di volerli porre sullo stesso piano. Da questa situazione Netanyahu trae un certo vantaggio ritrovando la solidarietà del presidente statunitense Biden, mentre in patria è invece ancora contestato per non aver salvato gli ostaggi e per non aver ancora indicato un piano condiviso per il dopo conflitto. Anche questo fa parte della sicurezza di Israele.