La statua dorata di Trump in Florida

Una pacchianata o un simbolo? Si direbbe entrambe le cose a giudicare dal numero di visitatori accorsi nel foyer dell’albergo Hyatt Regency di Orlando in Florida ( che per quattro giorni della scorsa settimana ha ospitato il convegno dell’ala più conservatrice dei Repubblicani) per farsi fotografare accanto alla statua dorata di Donald Trump. In tutto cento chili di plexiglass ricoperto di vernice d’oro, opera dello scultore filo-Trump Tommy Zegan, la statua ad altezza d’uomo raffigurava l’ex-presidente degli Stati Uniti in camicia e cravatta, pantaloncini da boxe a stelle e strisce e con in mano una bacchetta magica con una stella emergente: nel complesso un po’ tozza e caricaturale, con le gambe divaricate come un piccolo Colosso di Rodi. Come pacchianata ci stava bene perché almeno dimostrava il senso dell’ironia da parte dei Repubblicani conservatori, anche se i paragoni non sono mancati con un’altra statua, addirittura quella del vitello d’oro di cui parla l’Antico Testamento, raffigurante un idolo fabbricato da Aronne per accontentare gli Ebrei durante l’assenza di Mosé. Peccato, narra il Libro dell’Esodo, che la vicenda si concluse male perché Mosé «afferrò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece trangugiare agli Ebrei». Idolatria a parte, anche come simbolo, la statua esposta a Orlando non era però del tutto fuori posto perché rappresentava un Trump ritornato alla ribalta a tre mesi dalla sconfitta elettorale e quanto mai deciso ad assumere lo scettro della base repubblicana. Si sa che Il partito è lacerato e non tutti la pensano come The Donald. Ma l’ex-presidente la vede in un altro modo:» il partito repubblicano è unito. La sola divisione che vediamo»- ha affermato prendendo al parola a al convegno - «è tra una manciata di mediocri politici dell’establishment di Washington e tutto il resto del Paese». I 90 minuti del suo discorso hanno escluso una volta per tutte la possibilità che Donald Trump scompaia dalla vita pubblica americana, diversamente da quanto spera invece l’attuale presidente democratico Joe Biden. Il 45esimo presidente è qui per restarci e comunque i suoi temi, le sue ossessioni, il tono duro ed esasperato del suo conservatorismo continuano a fare breccia nel partito repubblicano. Con lui o senza di lui (Trump non ha escluso di candidarsi tra quattro anni), protagonista o semplice sostenitore di candidati che intende piazzare per le elezioni di metà mandato del 2022 e per le presidenziali del 2024, la destra americana è pienamente impregnata della sua immagine. Contrastarla non è inutile ma estremamente faticoso e controproducente data la minaccia prevedibile di una messa al bando di chi si oppone. Trump ha però fatto una scelta precisa: ha accantonato il progetto di lanciare un nuovo soggetto politico, non volendo frammentare l’unità e la forza dei suoi seguaci, nel tentativo di trasformare il Great Old Party che fu , tra gli altri, di Abraham Lincoln e Ronald Reagan, nel «T-party», un personale partito trumpiano. Strali ovviamente contro Joe Biden, colpevole a suo avviso di aver riaperto il confine con il Messico, distrutto posti di lavoro, rallentato l’apertura delle scuole, danneggiato la politica energetica, cancellando il progetto della «Keystone XL pipeline», il gasdotto che avrebbe dovuto collegare Canada e Stati Uniti. Le passate presidenziali? Ovviamente truccate, continua a pensare Trump. I nostri valori? Nazionalisti e americani, tali da contrastare il «socialismo imperante». L’assalto dei ribelli al Congresso? Un ricordo rimosso. Ma nell’immediato futuro l’ex-presidente non potrà avere sonni pienamente tranquilli. Infatti si è già insediata al Congresso la commissione bipartisan sui fatti del 6 gennaio. L’organismo dovrà indagare a fondo ogni aspetto dei tumulti, compreso il ruolo di Trump, peraltro assolto grazie al voto di 43 senatori repubblicani dall’accusa di avere incitato all’insurrezione. Non basta. Perché è in arrivo una tempesta giudiziaria, dal momento che la Corte Suprema ha imposto alla Trump Organization di consegnare le dichiarazioni fiscali degli ultimi otto anni alla Procura di Manhattan che sta indagando su una serie di reati finanziari. E qui la statua di The Donald potrebbe perdere molto del suo smalto.