La Svizzera e la chiave inglese

di GIOVANNI GALLI - Si apre un anno estremamente difficile sul fronte della politica migratoria. Mancano ormai solo dodici mesi alla scadenza del termine per mettere in atto l'iniziativa del 9 febbraio, ma sin qui di strada ne è stata fatta ben poca e gli scenari restano improntati all'incertezza più assoluta. Mentre Bruxelles è irremovibile e, al momento, si rifiuta di avviare negoziati con la Svizzera per rivedere l'accordo sulla libera circolazione, in casa manca una strategia condivisa. Appare anzi sempre più probabile che presto o tardi si tornerà a votare, anche se non si sa ancora bene su che cosa e quando. Internamente persistono le divergenze fra chi vuole una drastica riduzione dell'immigrazione e chi, all'opposto, punta a preservare gli accordi con l'Unione e a limitare il meno possibile il ricorso alla manodopera estera. Poco prima di Natale, Simonetta Sommaruga ha voluto chiudere il suo anno presidenziale con un messaggio di ottimismo in cui ha presentato la parte mezza piena del bicchiere. L'Unione infatti si è detta disponibile a discutere l'ipotesi di una clausola di salvaguardia nell'ambito dell'accordo sulla libera circolazione. Quella proposta da Berna è una via strettissima – probabilmente è l'unico pertugio giuridico rimasto – e anche un po' temeraria. L'obiettivo è convincere l'UE ad una nuova interpretazione dell'accordo, senza intaccarne i contenuti. Si vuole fare in modo che quando l'immigrazione supera una determinata soglia ed è causa di problemi d'ordine economico e sociale, le si possa mettere un freno. Beninteso, con il consenso dell'Europa. In altri termini, bisognerà far capire a Bruxelles che ci sono ragioni serie per limitare l'immigrazione. Come l'UE possa entrare in materia su una proposta del genere è ancora tutto da vedere, soprattutto alla luce degli invidiabili indicatori economici ed occupazionali in Svizzera. Berna però deve anche far fronte ad un serio problema di tempi. L'obiettivo di convincere l'UE, entro inizio marzo, a discutere lo strumento della clausola di salvaguardia deve ormai essere accantonato. A Davos, il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans ha fatto capire alla Svizzera che l'UE non stringerà accordi fino a quando non saranno chiariti i rapporti con la Gran Bretagna. Quest'ultima ha indetto un referendum sulla permanenza nell'Unione entro il 2017, ma è possibile che la chiamata alle urne avvenga già in estate. Comunque vada a livello di agenda, Bruxelles non farà nessuna concessione a Berna, in attesa che si risolva la questione oltre Manica. L'UE non intende arrecare pregiudizio ad una causa molto più importante per il suo futuro di quella con la Svizzera, che non è nemmeno uno Stato membro. In concreto però la linea attendista dell'Unione costringe Berna a rinviare come minimo alla seconda metà del 2016 la ricerca di una soluzione consensuale e a passare al piano B, che prevede l'adozione unilaterale di una clausola di salvaguardia. Una mossa che potrebbe ripercuotersi negativamente sui rapporti con la stessa UE e nel contempo accrescere l'incertezza a livello economico. Sullo sfondo, tuttavia, ci sono due grossi problemi di sostanza. Il primo è che i malumori in Gran Bretagna riguardano più le modalità d'applicazione della libera circolazione (sussidi ai disoccupati stranieri) che il principio della libera circolazione in quanto tale. In Svizzera invece il problema è innanzitutto di ordine quantitativo. Per questo, un'eventuale soluzione positiva con Londra non spianerebbe necessariamente la strada ad un accordo con Berna. Ma se anche l'UE acconsentisse ad avviare trattative sulla clausola, resta il nodo di fondo della quantificazione dell'immigrazione. Un conto infatti è accordarsi sul quadro giuridico che regola le valvole di sicurezza quando la pressione migratoria è ritenuta troppo elevata. Un altro è stabilire nero su bianco, cifre alla mano, quando e come attivarlo. Fintanto che non ci saranno indicazioni concrete e vincolanti in questo senso, la clausola di salvaguardia non andrà lontano. Da un lato Berna non vuole fissare cifre per legge, dall'altro l'UDC ha già detto che il saldo migratorio dovrà essere drasticamente ridotto, dalle attuali 80 mila persone a 21 mila; mentre gli ambienti economici sembrano puntare ad una limatura massima dell'ordine del 10-15%. Sarà difficile trovare un punto di incontro fra richieste così distanti. Il Consiglio federale si vedrà messo doppiamente sotto pressione. Dovrà rispettare i tempi e le modalità d'attuazione dell'iniziativa, pena l'obbligo di applicare la Costituzione tramite ordinanza; e al tempo stesso continuare a cercare una via d'uscita con Bruxelles. Il fatto che la Francia si voglia impegnare a trovare una soluzione è confortante ma non basta. Una clausola concordata è ben diversa dalla richiesta di gestione autonoma dell'immigrazione tramite contingenti e tetti massimi. Trovare un punto d'incontro resta un'impresa.