L’opera che vorrei

L’autunno di Mucha

La rubrica di Salvatore Maria Fares
Alfons Maria Mucha (Ivancice 1860 - Praga 1939) « Autunno», 1896. Museo Mucha Praga. ©ProLitteris
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
18.11.2020 06:00

Quando il sole splende sugli alberi non ancora spogli, le foglie dorate e rosse esaltano la poesia di quei colori che associamo erroneamente al declino, mentre si tratta di una transizione. Anche la natura ha bisogno delle sue gestazioni. L’autunno sembra un monito a ricordarsi della gioia della natura che con i suoi cicli ha la gamma più vasta di sensazioni e di emozioni che hanno determinato opere pittoriche piene di luce e di poesia, anche se l’autunno è il preludio alla pausa oltre la quale il bianco e l’azzurro del cielo torneranno con le innumerevoli tinte della primavera. Potrebbe sembrare un’introduzione semplicistica al ciclo delle sue stagioni ma la tavolozza e i soggetti di Alfons Maria Mucha rendono poetiche le pagine della natura e l’autunno in lui è una stagione dorata da vivere senza malinconie. Semmai il suo autunno evoca gioie attraverso l’invito a goderne le suggestioni e le offerte, come in questa in cui scorgo i versi di Dante Alighieri che davanti ai vigneti eleverà quei versi di glorificazione del nettare degli dei e simbolo di continuità: «Guarda il calor del sol che si fa vino!»

Alfons Maria Mucha è stato un pittore di valore e un «cartellonista» di forte penetrazione nel pubblico del teatro lirico e ha accompagnato con la sua grafica alcune opere come la Tosca o la Turandot di Puccini. Mucha un po’ si fa accostare a Puccini anche per quel suo estro innovativo che il musicista ebbe nell’opera, che tuttavia fu l’inverno dell’opera lirica ma ne cambiò il corso già con la Bohème; Mucha con altri maestri come Dante Gabriele Rossetti in fondo aprì alle nuove forme avanguardistiche. Quella nuova espressione artistica, che vede in Lautrec il precursore con il suo Moulin Rouge, ha segnato il Novecento e aperto nuove forme espressive ai contemporanei, facendo anche della pubblicità una forma d’arte. La sua era arte pura, con echi e rievocazioni della grande tradizione filtrata dall’estro e dall’inclinazione personale e dalle opere dei grandi maestri. Con i suoi «sogni liberty» Mucha ha dispiegato i suoi colori in cui oro, rosso, ocra e sabbia portano gioia seppur contenuta e in diverse opere l’apparente malinconia non è tristezza ma silenziosa attesa; le sue donne sono «recondite armonie di bellezze diverse». Aveva un’inclinazione anche a descrivere i momenti differenti delle stagioni e del giorno, e proprio con i quadri delle stagioni e con la donna durante le quattro mutazioni del giorno ha fatto alta poesia del tempo colto nell’attimo più suggestivo e mai concede qualcosa al volgare, al peccaminoso o al banale anche nelle donne raffigurate. In questo fu come i preraffaelliti, primo dei quali Rossetti, per i quali l’immagine femminile è una poetica della gratitudine alla loro distaccata bellezza. Aveva un’elegante abilità nel dare senso alla poesia da comunicare. Vorrei avere le opere che scelgo per il loro valore artistico ma anche storico, con le loro testimonianze concrete di essere un segno dei loro tempi, vive, in modi diversi, anche nel nostro tempo, dove la grafica d’arte purtroppo sconfina spesso nella faciloneria dei muri imbrattati.