Le fontane raccontano la nostra storia

di RAFFAELLA CASTAGNOLA - Le fontane hanno da sempre ispirato scrittori, musicisti e artisti. Fin dall'antichità sono state associate all'immagine delle sorgenti sul monte Parnaso, dove, secondo la tradizione mitologica si riunivano le Muse. In quel luogo, infatti, si trovava una fonte preziosa, capace di dare ispirazione a chi avesse bevuto le acque sacrali. La fontana non appartiene solo al mito: può anche essere antropomorfizzata, perché il suo suono sembra donare momenti di felicità o di sofferenza, come quando si incontra un amico sorridente o un malato. Basta ricordare una celebre lirica crepuscolare di Aldo Palazzeschi che ci restituisce il dolore di una fontana singhiozzante. In realtà l'immagine parte da un dettaglio realistico, banale e quotidiano, come quello di un rubinetto otturato che non permette all'acqua il suo normale flusso. Ed ecco allora sorgere una serie di versi brevi, rivoluzionari e anticonformistici rispetto alle tecniche della poesia di primo Novecento, che molti conoscono fin dalle prime letture dell'infanzia: «Clof, clop, cloch / cloffete, / cloppete, / clocchete, /chchch.../ È giù, / nel cortile, / la povera / fontana/ malata». La fontana di Palazzeschi sembra voler riscrivere la famosa poesia di Gabriele d'Annunzio «La pioggia nel pineto» e ribaltare così il ruolo del poeta nella società, che non si pone più come depositario di certezze assolute e di sensazioni paniche, ma come uomo fra gli uomini, umile narratore delle quotidianità e delle inquietudini ricorrenti. Non ci sono solo fontane «teatralizzate» e tristi, ma anche quelle che raccontano storie di città e di borghi, di piazze note come di strade poco frequentate. Sono punti d'incontro identitari, quelli sui quali da oggi vorremmo soffermarci. Nelle pagine di Cultura del nostro quotidiano troverete la prima puntata di una nuova rubrica di Michele Amadò, docente di Comunicazione visiva alla SUPSI, intitolata «Fontane del Ticino». La rubrica apre un nuovo capitolo di ricerca, dopo quelle dedicate a «I mestieri. Disegnare il mondo», e al LAC, «La casa delle Muse». Come nei precedenti casi gli articoli sono accompagnati da suggestive fotografie realizzate da studenti del Bachelor in Comunicazione visiva della SUPSI, seguiti da Amadò e da Marco Beltrametti. Negli articoli le fontane si atteggiano a oracoli: fonte di saggezza, di consigli, di profezie. I testi trasformano i luoghi ticinesi in sorgenti sapienziali e spirituali che suonano, cantano, raccontano, interrogano. Le fotografie non illustrano ma narrano, ciò che gli oracoli sono, vedono, indicano. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, il lettore incontra vasche di tutti i tipi che gorgogliano, gorgheggiano, zufolano. Da Bellinzona (prima puntata) a Faido, Rovio, Biasca, Bosco Gurin, Lugano, le acque portano preziosi messaggi a volte antichi, a volte attuali. Le fonti sono memoria e spaccato della storia del Ticino, sia gli antichi sarcofagi romani riciclati in vasche, sia i pozzi e i lavatoi, parenti stretti delle fontane. La gran parte di quelle scelte dall'autore, esclusivamente in pietra, sono sorte nel Cantone Ticino divenuto svizzero, e soprattutto tra la metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, quando vi fu una forte edificazione di captazioni e acquedotti. Con grande intelligenza questa impresa ha contribuito allo sviluppo e al benessere del Cantone, anche in tempi di povertà se non di miseria. Negli articoli troverete la memoria dei nostri antenati. Alcuni partivano dal nostro territorio con un sacco, che, come racconta Plinio Martini: ha un fondo di memoria e amore per le proprie origini. Alcuni emigranti hanno fatto fortuna e generosamente hanno poi donato dalla California come dall'Argentina, fondi per delle fontane, come ad esempio in val Maggia e in valle Verzasca. Alcune imprese furono imponenti per i tempi: chi sa da dove arrivava l'acqua in piazza della Riforma a Lugano, dal 1894? I brani, spesso con una vena umoristica, sono una sorta di racconto della fonte, che declama ciò che serba, ricorda, vede, e anche critica, insomma vuota il sacco. L'amore per queste costruzioni, non ha pari in Ticino, se non forse lo scandire del tempo delle campane. L'acqua è vita, e spesso è stata oggetto di conflitti. La storia degli acquedotti lo dimostra ampliamente, come le battaglie tra i principali gestori: patriziati e comuni. Le fontane sono dunque elementi identitari unici, capaci di rallegrare e di portare pace. Luoghi d'incontro, di ristoro, per uomini e animali, e per gli occhi e le orecchie che sanno ascoltare ciò che risuona dal profondo della terra.