Le minacce, il proverbio, il divorzio

di GIOVANNI BARONE ADESI - Il popolo britannico ha rifiutato l'accordo raggiunto da Cameron con l'Unione europea, ritenendo che la propria sovranità sull'immigrazione e sulla legislazione sia più importante delle perdite economiche che questa scelta comporta. L'Unione europea, non concedendo molto su questi temi, ha causato le scelte inglesi. Questa situazione deriva direttamente dall'incapacità europea di conferire una legittimazione democratica alla Unione europea. È comprensibile che questa unione sia nata come progetto di una élite illuminista quando i rancori della seconda guerra mondiale erano ancora vivi. Dopo i grandi successi e la popolarità iniziale, una serie di votazioni popolari ha bloccato l'integrazione politica. Accelerare i tempi per l'unione monetaria ha creato una struttura istituzionale instabile, divenuta tanto più rigida quanto più mediocre è la classe politica addetta a gestirla. Le minacce agli inglesi prima e dopo il voto e il disprezzo dimostrato da molti politici per la volontà espressa dalla maggioranza degli elettori, rischiano di danneggiare seriamente l'economia europea prima ancora che quella inglese. La svalutazione della sterlina scarica infatti sull'Europa, che ha un forte surplus commerciale con il Regno Unito, gran parte dei costi del divorzio. Le banche europee, in particolare, soffrono per le prospettive derivanti dall'accresciuto peso della linea economica tedesca, incline all'austerità, nella nuova Unione europea. Fortunatamente la cancelliera tedesca è una brava politica e cerca, con l'aiuto americano, di raffreddare gli animi, alla ricerca di un'intesa più amichevole. Londra perderà probabilmente molte sue attività finanziarie rivolte all'Europa, ma cercherà di sostituirle rilanciando il suo ruolo nel Commonwealth, che include due miliardi di abitanti in cinquantatré Paesi, su un'area pari a cento volte l'Italia. Non è chiaro se il rilancio del Commonwealth, e più in generale del commercio britannico con Paesi terzi, avrà successo, ma è certo che l'Europa esce indebolita dal referendum del 23 giugno. Alcuni leader pensano che sia adesso opportuno accelerare l'integrazione europea, altri, consapevoli della difficoltà di mettere d'accordo ventisette Paesi, pensano ad un'Europa a due velocità. Forse sarebbe più saggio adottare una struttura più flessibile che aiuti la crescita economica, a geometria variabile, come quella adottata dall'APEC nell'area del Pacifico. Se alcuni Paesi volessero perseguire un'integrazione politica sarebbero liberi di farlo, ma la storia degli ultimi anni dimostra che le radici nazionali delle culture politiche europee sono difficili da amalgamare. Il problema più urgente è salvare, per quanto possibile, gli aspetti della società europea che tutti amiamo.
Un proverbio inglese recita: puoi spingere un inglese, ma solo fino ad un certo punto. Cameron e Corbyn, leader dei due partiti maggiori, hanno gestito male gli eventi e rischiano di scomparire dalla vita pubblica.