Le sfide del mondo e Trump

Il mondo d’oggi si trova confrontato con tre sfide esistenziali. Quella tecnologica, quella degli equilibri geopolitici e quella del rapporto con l’espansione della burocrazia.
La tecnologica è la più importante e avrà influenza sulle altre due. Riguarda il nostro rapporto di umani con le espressioni della tecnologia più avanzata, per semplificare citiamo l’IA (intelligenza artificiale). Parliamo di una forza nuova nella storia dell’umanità, di una società diversa. Ci attende una fase che porta al mondo post-umano? Angoscioso l’interrogativo: riusciremo a dominare le macchine del futuro o ne saremo dominati? Potremo scomparire o ci diamo appuntamento su Marte?
Il tutto è accompagnato dal ruolo e pericolo di oligopoli tecnologici e loro rappresentanti. Il pensiero corre ai Musk, Zuckerberg e altri ed al loro equivoco rapporto con la democrazia.
La seconda sfida è quella della ricerca di un nuovo equilibrio geopolitico mondiale in quanto anche la Pax e Lex americana, che ha sostituito gli anni del bipolarismo USA e Unione Sovietica, si è esaurita.
Abbiamo un mondo nel quale operano le velleità di un rinnovato zarismo russo, i fautori dell’islamismo iraniano, le aspirazioni egemoniche di una Cina seconda potenza mondiale. Abbiamo un’Europa sempre più debole (e burocratizzata) che non è in grado da sola e non ha trovato politiche per opporsi all’espansionismo russo e alla diffusione di pericolosi eccessi islamisti in casa propria.
Gli USA hanno grosse responsabilità per gli errori cumulati negli ultimi decenni da Bush in Iraq, Obama in Libia, Siria e anche Iran, la catastrofica partenza dall’Afghanistan di Biden. Purtroppo tanto ai confini europei quanto nel Mediterraneo la parola è già passata alle armi e non possiamo dimenticare che la pace è il risultato di una guerra vinta.
Che il mondo, quale conseguenza degli indirizzi politici, si sia pesantemente burocratizzato è innegabile. Una burocrazia che nella sua espressione gestionale e per la sua diffidenza verso i relativi soggetti toglie spazio, soffoca iniziative, appesantisce l’operosità.
Non parlo solo di quelle nazionali, inclini a un sempre maggior sviluppo dell’intervento statale, ma anche di quella mondiale di maggior importanza e impatto. Penso alla ragnatela dei numerosi organismi internazionali e loro esondazioni in ogni campo. Le pericolose inclinazioni all’armonizzazione – che spesso tende a mortificare il successo – e alla protezione non richiesta. Preoccupa la deriva delle Banche Centrali, inclini a far politica con tassi attorno allo zero per salvare governi straindebitati creando di conseguenza inflazione nel settore immobiliare ed in quello della finanza (Asset inflation).
La maggior responsabilità per la gestione di queste sfide, anche per la disponibilità di mezzi, incombe innegabilmente agli USA e di riflesso coinvolgono in prima persona il loro Presidente Trump, dalla personalità discussa e discutibile e che divide gli animi tra ammiratori fanatici ad avversari feroci. Trump è urticante e sgradevole con le sue sparate da arrogante e prepotente. Come succede in questi casi i fan sono in adorazione di ogni sua parola ed atto, visceralmente avversi i critici per i quali Trump è il male assoluto, un criminale, un pregiudicato e così via. Come sempre i fanatismi pro o contro portano ad eccessi e fanno perdere lucidità di giudizio.
Ora Trump è il Presidente degli USA democraticamente eletto e volenti o nolenti con lui ed i suoi dobbiamo trattare evitando che i pregiudizi ci facciano perdere lucidità ed evitando anche di sottovalutarlo: è un incolto ma non uno stupido.
Come per ogni uomo politico, non dobbiamo dimenticare l’ego, spesso sproporzionato, ed un respiro e visione che, al di là di vuote parole, non superano l’alternanza elettorale. Ce ne dobbiamo fare una ragione e d’altro canto le sfide di cui parliamo non si risolveranno, se si risolveranno, nel giro di qualche anno. Dovranno venir superate le possibili resistenze delle classi politiche dei diversi paesi e continenti in gioco – la maggior parte non democratiche – e coscienti che gli interessi personali si possono scontrare con intelligenza e onestà.
Un giudizio equilibrato ci impedisce di negare che Trump durante i quattro anni di traversata del deserto che hanno preceduto l’elezione, anni cosparsi di scandali e cause, ha dimostrato forza di carattere e nel tentativo di assassinio sangue freddo. Poi la sua interpretazione è che Dio l’ha salvato affinché lui salvi il mondo. Ma questo è folclore per i fans. Infine ha sconfitto un certo «wokeismo», di maniera del mondo intellettuale americano con relativi fanatismi e ciò non è un male. Oltretutto non si può negare che nel suo primo quadriennio non è stato peggiore di altri Presidenti, anche perché il collaudato sistema della più vecchia democrazia del mondo ha modi per resistere agli eccessi.
Con gli USA, e quindi con lui, sempre uomo d’affari, dobbiamo negoziare. Il modo sicuro di uscirne perdenti è tanto il cedere alla prepotenza quanto il negoziare con disdegno e prevenzione. Il mare è grosso, le onde minacciose, il navigare è difficile ed esige competenza e lucidità.