Lettera ad un amico inglese

Ecco allora scattare l'irritazione nei confronti della più chiara, diretta e inequivocabile espressione del sentire – e del pensare – dei cittadini: il voto popolare. Con quello sul Brexit, caro amico inglese, siete diventati anche voi un po' svizzeri
Giancarlo Dillena
Giancarlo Dillena
04.07.2016 02:05

di GIANCARLO DILLENA - Caro amico inglese, dopo il voto sul Brexit (e tutto quanto sentito prima e dopo) mi è venuta una gran voglia di scriverti. Non so se, personalmente, hai optato per l'uscita o per il «remain». La decisione non è stata facile, per chi ha provato a confrontare le due tesi e a fare una scelta con la calma e il pragmatismo che un tempo erano qualità britanniche per eccellenza.

Ma, qualunque sia stata la tua decisione, mi sento oggi di esprimerti simpatia, solidarietà, comprensione e di offrirti alcune riflessioni su quanto ci accomuna. Perché abbiamo parecchie cose che possiamo condividere. E non solo dallo scorso 23 giugno.

Certo le differenze tra noi sono molte e macroscopiche: tra chi vanta un grande passato imperiale e chi ha fatto della neutralità la sua bandiera; tra chi ancora oggi sa identificarsi orgogliosamente con la propria monarchia e chi di re non ha mai voluto saperne; tra un'isola che ha dominato i mari e un Paese abbarbicato alle Alpi e intento a bucarle con sempre nuovi tunnel. Ma proprio a partire da questi aspetti possiamo anche trovare interessanti analogie. Ad esempio la peculiarità dei nostri regimi politici, figli di percorsi storici originali, assai differenti da quelli delle maggiori potenze continentali, diventate i nostri «cugini» della UE.

Queste peculiarità hanno lasciato un'impronta profonda nel nostro modo di essere e di pensare, che non sempre i «cugini» sono pronti a capire, nipoti quali sono di assolutismi, rivoluzioni e regimi totalitari con cui, in un modo o nell'altro, continuano a dover fare i conti oggi ancora.

Questo ci fa sentire talvolta come voi: abitanti di un'isola e gelosi della propria peculiarità e indipendenza (anche se certamente relativa, in un mondo sempre più globalizzato). Questo non piace alle «élites» che governano a Bruxelles e nelle capitali economico-finanziarie d'Europa. Probabilmente hanno ragione, dal loro punto di vista: l'autonomia delle democrazie nazionali è un ostacolo al loro disegno di continente-mercato, i cui abitanti sono considerati sempre più consumatori e sempre meno cittadini. Ecco allora scattare l'irritazione nei confronti della più chiara, diretta e inequivocabile espressione del sentire – e del pensare – dei cittadini: il voto popolare.

Con quello sul Brexit, caro amico inglese, siete diventati anche voi un po' svizzeri. Perché noi questa situazione la conosciamo bene, con la retorica del «Popolo Sovrano», che vale solo finché la sua voce non contraddice il pensiero «politically correct». Ed ecco spuntare allora, come da noi, l'idea di rifare la votazione per «correggere l'errore». Lecito, per carità: è un fatto che l'elettorato si è spaccato quasi a metà (altro aspetto che ci accomuna) e che un ripensamento potrebbe essere plausibile. Ma non sarebbe un po' come chiedere di rifare la partita Inghilterra-Islanda per «correggere» il risultato e impedire così l'uscita dell'Inghilterra dagli Europei di calcio? Provate a immaginare come verrebbe accolta l'idea, tra i «cugini» del Vecchio Continente!

Proprio loro dovrebbero ricordarsi invece che i sentimenti di rivalsa non hanno mai risolto i problemi. Al contrario : hanno avvelenato la storia europea. E allora che fare? Rimboccarsi le maniche e con pazienza, ragionevolezza e soprattutto rispetto reciproco, tessere una nuova relazione positiva. Nell'interesse di ambo le parti. E siccome, come disse un vostro grande condottiero, «solo l'interesse non mente mai», essere ottimisti è ragionevole. Del resto, al di là del bullismo di facciata, i «cugini» continentali sanno bene che piegare la «perfida Albione» è impresa impossibile: se Filippo II con la sua Invincibile Armada, Napoleone con il suo blocco continentale, Hitler con la sua Luftwaffe non ci sono riusciti, che speranze possono avere loro? E chissà che questo non aiuti anche noi svizzeri, alle prese con un negoziato simile e anche più difficile.

Per altro credo che anche tu, come me, non speri che l'Europa vada allo sfascio. Non è mai stata storicamente la politica inglese, orientata piuttosto a salvaguardare un ponderato equilibrio di forze sul continente. Ora che i tempi di «Britannia rules the waves» sono tramontati, dovete cercare altri mezzi. Così come noi, che abbiamo oramai perso da tempo il comodo ruolo degli affidabili custodi di un forziere da lasciare dov'è, nell'interesse di tutti.
«Occorre ricreare la Famiglia Europea, per renderla libera e felice come la Svizzera»: è il proposito enunciato in tempi non sospetti da un grande statista inglese, all'Università di Zurigo, nel settembre 1946. Si chiamava Winston Churchill. Dobbiamo meditare, caro amico, su quelle parole e sul rinnovato significato che oggi assumono. Insieme. E non solo noi.

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