Il commento

L’«Ibizagate» è il demone di Kurz

Il commento di Andrea Colandrea
©APA/ROBERT JAEGER
Andrea Colandrea
21.05.2021 06:00

Una notizia giunta come un fulmine a ciel sereno ha fatto capolino una settimana fa dall’Austria nei canali dell’informazione internazionale tuttora «monopolizzati» dalla pandemia e viepiù focalizzati sul cruento conflitto tra Israele e Hamas fortunatamente alla fine. Il cancelliere di Vienna Sebastian Kurz e il suo capo gabinetto Bernhard Bonelli sono accusati di falsa testimonianza dalla Procura federale anticorruzione (WKSTA), che ha aperto un’indagine penale a carico di entrambi. Kurz, ovviamente, respinge le accuse al mittente dopo aver laconicamente dichiarato di essere «sicuro» che queste «si dissolveranno». In concreto i magistrati fanno riferimento a dichiarazioni rilasciate dallo stesso Kurz e dal suo braccio destro nel 2019, in relazione alla nomina di Thomas Schmid al timone dell’ÖBAG, l’organismo che gestisce le partecipazioni pubbliche in diverse aziende austriache quotate in borsa, come la società petrolifera OMV. Queste dichiarazioni, ritenute, appunto, non veritiere dagli inquirenti (è quanto emerge da documenti agli atti), erano state rilasciate dai diretti interessati di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta chiamata a far luce sull’«Ibizagate», ovvero il più grave scandalo legato alla corruzione politica della storia moderna del Paese. Ma facciamo un passo indietro.

L’«Ibizagate» originò da un video girato nell’estate del 2017 in una villa della città delle Baleari. Un filmato nel quale Heinz-Christian Strache e Johann Gudenus (allora rispettivamente vicecancelliere, leader del partito della Libertà e capogruppo FPÖ) apparivano mentre, in compagnia di un uomo e della sedicente nipote di un oligarca russo, stavano barattando incarichi di prestigio in cambio di finanziamenti per il loro partito. Si scatenò un terremoto politico che distrusse la carriera dello stesso Strache e che, con un effetto domino, trascinò con sé anche i ministri dell’FPÖ fino alla caduta del primo Governo Kurz (con cui i Freiheitlichen erano in coalizione), sfiduciato dal Consiglio nazionale il 27 maggio 2019. Lo stesso capo di Ballhausplatz, tornato alla guida del Paese nel gennaio 2020 dopo le elezioni seguite alla parentesi del cancellierato di Brigitte Bierlein, è dunque di nuovo nel mirino dell’opinione pubblica risucchiato da quell’oscura vicenda di corruzione che rischia ora di macchiare, se non perfino di compromettere, la sua prestigiosa carriera politica. La pena, in casi come questi, può comportare fino a tre anni di carcere. Una vicenda, di conseguenza, maledettamente seria e che non ha precedenti nella storia austriaca, dal momento che sotto indagine penale c’è proprio il capo del Governo.

A tre anni da quel fatidico 2019 nel quale venne alla luce il filmato incriminato - rilanciato dai media tedeschi e realizzato in circostanze tuttora poco chiare - l’Austria, culla di civiltà e di stabilità politica, deve quindi fare di nuovo i conti con quell’ombra che di tanto in tanto torna a minacciarne l’immagine di Paese stabile e dalle integerrime istituzioni democratiche. Il sospetto degli inquirenti è che Kurz si sia prodigato nel «piazzare» Thomas Schmid nel ruolo di amministratore delegato garantendogli la poltrona. Addebiti rispediti al mittente, si diceva, dal capo dell’Esecutivo austriaco, il quale specificando di essere «disponibile a rispondere molto volentieri alle domande di un giudice» ha già escluso le sue dimissioni. C’è da augurarsi che dalle follie di Ibiza non vengano alla luce altri colpi di scena. Il demone delle Baleari è ancora vivo.