Lichtsteiner, un simbolo che lascia un’eredità pesante

Una conferenza stampa per dirsi addio e, soprattutto, grazie. Fianco a fianco, ASF e Stephan Lichtsteiner hanno voluto sublimare un legame profondo e sincero. Esemplare anche, seppur non privo di qualche frizione. Il capitano lascia a dieci piccoli passi dal record di presenze di Heinz Hermann. Uno smacco solo parziale, poiché «Lichti» chiude la sua avventura in rossocrociato con le stimmate del simbolo. Hai detto poco. In un mondo - quello del calcio - vieppiù svuotato di valori, sono sempre di meno i punti di riferimento affidabili non solo sul campo. Una mostrina che il nostro potrà invece mostrare con orgoglio.
I numeri, d’altronde, sono di quelli importanti. 108 gettoni con la «Nati» e una carriera da protagonista, soprattutto in Italia sponda Juventus. Per dire: in Serie A nessun altro straniero può contare il numero di scudetti (7) conquistato dal «Forrest Gump» nato ad Adligenswil. E poco importa se di tanto in tanto una certa asprezza caratteriale sia stata scambiata per autentica arroganza.
Un simbolo, dicevamo. Diverso dal suo predecessore - il discreto mediatore Gökhan Inler - diversissimo dal suo probabile erede: Granit Xhaka. Proprio il rapporto tra il centrocampista dell’Arsenal e il capitano uscente ha - negli anni - mostrato la complessità dello spogliatoio elvetico. E, di riflesso, la delicatezza del ruolo qui in discussione. Ricordate il marzo 2015? All’indomani delle mancate convocazioni di Barnetta e Schwegler da parte di Vladimir Petkovic - allora fresco ct - Stephan alzò la voce: «La squadra ha bisogno di giocatori nei quali ci si possa identificare». Sì, il laterale poliglotta andò lungo, esprimendo però un concetto - quello della «svizzeritudine» - sempre attuale e financo condivisibile. Xhaka, va da sé, non la prese bene. Mentre da lì in avanti Lichtsteiner intraprese quel processo di malleabilizzazione che lo portò addirittura a condividere il gesto dell’aquila, nella famigerata sfida contro la Serbia ai Mondiali russi del 2018. Un episodio controverso e dal quale discendono due considerazioni, forse ossimoriche, circa il percorso in Nazionale dell’oramai ex giocatore. Da un lato resta una piccola macchia, considerata l’incoerenza tra i due fatti sopra menzionati. Dall’altro emerge però la qualità di un uomo spogliatoio che ha voluto e saputo farsi accettare in qualità di guida. Il capitano di tutti, toh: sia della gente sia dei compagni. Uno, udite udite, disposto pure a digerire senza polemiche l’etichetta di seconda scelta, assegnatagli da Vlado due anni fa. Altri, val la pena ricordarlo, avevano gridato allo scandalo.
E adesso? Adesso s’impone un interrogativo di peso. Chi arriverà dopo Lichtsteiner sarà in grado di interpretare con intelligenza e attaccamento il senso di quella «C» avvolta al braccio? Tanti auguri.