Diritti e rovesci

L'icona è già diventata mito

L'ultima partita di Federer, il doppio con Nadal nell'ambito della Laver Cup, ha assunto significati che vanno ben oltre lo sport
© AP
Raffaele Soldati
24.09.2022 06:00

C’è una frase di Rod Laver che è passata alla storia: «Il titolo di più grande del tennis va diviso a metà: Roger per l’era moderna, io fino al 1969». Quando l’australiano, campione di due Grandi Slam (1962 e 1969) l’aveva pronunciata, non aveva previsto quanto è successo in questi ultimissimi anni con Novak Djokovic e Rafael Nadal saliti (e risaliti) a più riprese in cattedra. Il compianto Gianni Clerici, per natura tutt’altro che diplomatico, si era inserito nel dibattito sul «più grande di sempre» con classe sopraffina, mettendo in risalto il tennis delle varie epoche e i diversi campioni che le hanno caratterizzate. Con il maiorchino che si è portato a quota 22 nei titoli del Grande Slam e con il serbo che ha scavalcato il basilese grazie al suo 21.esimo major conquistato in estate a Wimbledon, è diventato francamente ancora più difficile stilare delle classifiche di eccellenza.

L’addio al tennis di Roger, è naturale, ha contribuito a un fiorire di omaggi alla grandezza leggendaria del divino di Basilea. E, come ha detto bene Riccardo Crivelli sulla «Gazzetta dello sport», Roger è diventato un’icona popolare senza tempo, uno degli sportivi più apprezzati e amati di sempre. Si può essere campioni in modi diversi. Federer ha avuto il pregio di essersi distinto per la tecnica, ma anche e soprattutto per lo stile. Che non è solo l’eleganza dei colpi. È stato soprattutto un campione che ha ispirato gli altri e che li ha spinti a migliorarsi. Si è tanto parlato delle grandi rivalità in campo, della lunga serie di sfide tra Federer e i suoi principali avversari. Tutti, indistintamente, anche se con sfumature diverse, hanno sottolineato la principale qualità del fenomeno elvetico: la capacità di far sembrare semplici le cose più difficili. La cosa più difficile per Roger, in questi ultimi mesi, è stata la decisione di appendere la racchetta al chiodo. Non sono certo stati i 41 anni a spingerlo in questa direzione. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto sul circuito ancora per un po’. Le operazioni al ginocchio, è vero, non hanno dato i risultati sperati. Gli consentiranno comunque di giocare a tennis e a golf per puro divertimento. E, con tutta probabilità, potrà continuare a camminare in montagna e a sciare. Magari anche tirare qualche calcio a un pallone, perché queste sono le altre grandi passioni che lo accompagneranno nella vita di tutti i giorni.

Per chi abituato ad essere celebrato, spesso non è facile apprezzare la quotidianità. Tanti campioni sono andati in paranoia dopo il ritiro. Alcuni hanno anche rovinato le proprie vite. Non accadrà a Federer, che ha sempre apprezzato le cose semplici della vita, a incominciare dalla famiglia e dagli affetti. Poi, c’è da scommettere, per lui si apriranno altri palcoscenici, quelli delle grandi esibizioni legate a scopi umanitari. Roger ha lasciato le gare, ma non certo il tennis, di cui è già e resterà sempre il primo ambasciatore. Tutti i titoli conquistati sono solo il corollario di uno sportivo che è sconfinato nel mito. L’affetto e la simpatia che tutti gli hanno manifestato ci fanno capire quanto mancherà la sua figura nel mondo del tennis competitivo. Lo abbiamo sottolineato a più riprese quest’anno, sperando che rinviasse il suo ultimo servizio e le sue ultime volée.

Nella 02 Arena a Londra, i fortunati che hanno potuto seguirlo nella partita dell’addio in coppia con Nadal, lo hanno applaudito e osannato. Lo stesso hanno fatto i suoi compagni del Team Europe, con in testa Djokovic e Murray, pure grandi avversari di Roger nell’ultimo decennio. Vederli tutti uniti in questo debutto della quinta edizione della Laver Cup è stato emozionante. Per il pubblico, per i suoi compagni di squadra e per gli avversari del resto del mondo.

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