L'illusione dei partiti anti-sistema

Beppe Grillo.
Osvaldo Migotto
16.06.2016 06:00

di OSVALDO MIGOTTO - Gli spagnoli il 26 giugno torneranno alle urne per le elezioni politiche. Avevano già votato lo scorso 20 dicembre; un appuntamento elettorale che aveva decretato la morte del bipartitismo PP-PSOE e della stabilità politica del Paese. Motivo dello sconquasso? L'entrata in scena dei cosiddetti partiti o movimenti anti-sistema. Un fenomeno non nuovo ma che ultimamente sta mettendo a dura prova i sistemi politici di un numero crescente di Paesi europei.

Si tratta, come noto, di formazioni politiche «di rottura» che, approfittando dei diffusi malumori popolari e dell'apparente incapacità dei partiti tradizionali di rispondere ad emergenze del momento, quali la prolungata crisi economica ed occupazionale, nonché l'irrisolta emergenza migranti, si propongono come salvatori della patria grazie al loro arsenale di idee e slogan ad effetto. Non è comunque corretto mettere tutti questi movimenti nello stesso calderone e negare a priori le loro capacità di rinnovamento politico. Tuttavia è evidente che per ora si tratta di nuove, o relativamente nuove formazioni che faticano a imprimere una vera svolta ai sistemi politici di cui fanno parte.

È emblematico il caso spagnolo, dove, stando agli ultimi sondaggi, il partito anti-sistema Podemos (di sinistra) è in crescita rispetto al voto di dicembre, mentre Ciudadanos (movimento alternativo di centro) e il PP del premier uscente Rajoy mantengono sostanzialmente gli stessi consensi. Va però sottolineato che un terzo degli elettori, sempre stando ai sondaggi, dice di non sapere ancora per chi votare. Nonostante l'apparente travaso di voti dal partito socialista (PSOE) ai «rivoluzionari» di Podemos persiste dunque il rischio che al termine del nuovo appuntamento elettorale di fine mese la Spagna si ritrovi con un sistema politico spaccato in quattro nel quale i principali protagonisti si mostrino incapaci di costituire una solida maggioranza.

Se così fosse, sarebbe la riprova che «la ribellione» non sempre paga, indipendentemente dalla bontà dei programmi politici «alternativi» portati avanti. Un altro caso di frammentazione politica «perdente» ci viene dalla vicina Italia, dove nel primo turno delle amministrative, lo scorso 5 giugno, l'incapacità dei partiti di centrodestra di trovare un'intesa sul candidato sindaco di Roma ha chiaramente favorito il Movimento 5 Stelle (M5S).

A loro volta gli «anti-sistema» del M5S, pur avendo ottenuto oltre il 25 per cento dei voti espressi nelle elezioni politiche del 2013, una volta entrati in Parlamento si sono inizialmente concentrati a sostenere una dura politica di opposizione, rifiutando ogni alleanza con gli altri partiti «corrotti» del sistema politico nazionale. La stessa strategia annunciata da Beppe Grillo in vista dei ballottaggi per le comunali previsti domenica. Vi è dunque un categorico rifiuto di qualsiasi collaborazione con quei politici che con disprezzo vengono definiti «il vecchio sistema». Giusto o sbagliato che sia, va ricordato che il movimento creato da Grillo non è nato dal nulla, al suo interno vi sono anche politici che in passato avevano militato in altri partiti, come la Lega Nord o il PD. È senz'altro apprezzabile il fatto di mostrarsi coerenti con i propri princìpi, ma la politica, intesa come gestione comune della cosa pubblica, presuppone un dialogo sia verso l'interno del partito che con gli avversari politici.

Chiudersi a riccio nel proprio fortino in un momento in cui l'Europa deve affrontare sfide epocali non è sicuramente l'atteggiamento vincente. Un movimento anti-sistema ha tutto il diritto di denunciare episodi di corruzione, malgoverno e quant'altro. Ma per uscire dal guado in cui di questi tempi si trova l'Europa, non sembra molto costruttivo evitare ogni forma di collaborazione con gli altri partiti.

Almeno che non si disponga di una maggioranza netta in Parlamento e ci si assuma l'intera responsabilità delle attività di Governo. Ma anche tali situazioni non sono prive di rischi. In Polonia, ad esempio, è al Governo una formazione nazionalista di destra nata nel 2001 (Diritto e Giustizia) contestata all'interno del Paese e recentemente richiamata dalla Commissione europea. In particolare l'Esecutivo di Varsavia è criticato per la riforma della Costituzione e per altre misure adottate di recente che secondo Bruxelles «costituiscono un rischio sistemico per la sopravvivenza dello Stato di diritto». Ai giorni nostri appare facile, per nuovi partiti e per i movimenti «alternativi», raccogliere consensi cavalcano paure quali l'invasione dei migranti o l'infiltrazione di terroristi islamici. Quando però si entra nella stanza dei bottoni non è così semplice gestire un Paese in tempo di crisi. E quando sulla plancia di comando salgono dei neofiti della politica non è per nulla garantito che la navigazione conduca per forza verso lidi migliori.