L’impronta di Johan Cruyff sull’Ajax delle meraviglie

Non v’è dubbio che Erik ten Hag sia una persona intelligente. Per quelli che si fossero persi qualche puntata recente del romanzo del calcio, specifichiamo che ten Hag (49 anni) è l’attuale tecnico dell’Ajax Amsterdam, uno dei club che ha contribuito in maniera decisiva a scrivere la storia dell’evoluzione del calcio. Società precipitata negli inferi del mondo pallonaro, dopo aver assaporato i piaceri del paradiso, tornata ad occupare una di quelle posizioni che le spetterebbero di diritto in virtù del suo nobile passato, della tradizione.
Dice ten Hag, immediatamente dopo il successo sulla Juventus che ha proiettato la sua squadra nelle semifinali di Champions League, dove non arrivava dal 1997: «Quello che è successo non fa bene solo a noi dell’Ajax, ma anche alla Champions League. La gente è stufa di vedere sempre le solite squadre a questo stadio della competizione, le solite partite, gli stessi vincitori. Il tifoso vuole delle sorprese ed è bellissimo che da parte nostra si sia riusciti a rispondere a queste attese».
Ottima osservazione, alla faccia di chi vuole una Champions sempre più slegata dal contesto sportivo, sempre più improntata al business, ostaggio dei club europei più potenti. Il paradosso del calcio moderno è che questo successo dell’Ajax a spese di una grande del calcio europeo, anziché alimentare l’entusiasmo per un’impresa dal sapore antico che ci riporta all’essenza dello sport, attizzerà ancor di più la bramosia di potere dei club più ricchi, che in virtù dei loro budget esclusivi e dei legami con sponsor che se ne fregano dei valori sportivi, cercheranno ora di escogitare nuove tattiche e nuovi stratagemmi per blindare la loro presenza nei momenti decisivi della più redditizia competizione dell’UEFA non riservata alle nazionali.
Non solo: la bella favola dell’Ajax risorto dalle proprie ceneri come l’araba fenice, finirà molto presto perché il club olandese sarà vittima dei meccanismi perversi implementati nella gestione del calcio moderno, quelli che permettono ai ricchi - proprio grazie a competizioni come la Champions League - di incrementare il proprio valore economico e creare un fossato incolmabile nei confronti della concorrenza.
L’Ajax che ha vinto a Torino contro la Juve costa 50 milioni di euro, 16 dei quali spesi per far tornare a casa dal Manchester United Daley Blind. Dei club qualificati per i quarti di finale, quello olandese era il meno ricco secondo una stima dell’ufficio di Deloitte, che piazza la Juve all’11° posto della classifica mondiale delle società più danarose, con tre giocatori nei top 50 europei per valore commerciale, contro zero degli olandesi, che come club non rientrano (mai da quando Deloitte pubblica il suo rapporto, cioè dal 2006) tra i primi venti della classifica mondiale. Questo può significare una sola cosa e cioè che questo splendido giocattolo di nome Ajax sarà depredato dei suoi pezzi migliori: il gioiellino Frankie de Jong si è già promesso al Barcellona (e non per due briciole di pane: 84 milioni di euro), il compagno Matthijs De Ligt potrebbe seguirlo, mentre altri giocatori stanno diventando preziose pedine per un mercato che tornerà a pescare in Olanda come ai tempi migliori del calcio oranje.
Resterebbe da spiegare come sia potuto accadere che il blasonato Ajax per anni sia caduto in una specie di oblio, tornando ora alla ribalta. Discorso lungo, che non si può fare senza scomodare un nome illustre del passato del calcio olandese, quello di Johan Cruyff.
Fu lui, il Maestro, che nel 2010 tornò a lavorare per il club che l’aveva lanciato, rinnegando un passato recente fatto di acquisti sbagliati, incapacità di mettere al centro del gioco il talento, negazione del calcio offensivo. Cruyff per prima cosa volle rilanciare il settore giovanile, reclutando il meglio che il calcio olandese offriva, puntò sulla creatività, lo sviluppo di un gioco collettivo.
E non è un caso se a guidare l’Ajax di oggi ci sia Erik ten Hag, già allenatore della seconda squadra del Bayern, un discepolo di Pep Guardiola, a sua volta considerato l’erede di Cruyff. Il successo, nel calcio, raramente è figlio del caso.