L’incubo di un’altra guerra civile

Richiamano quelle dell’11 settembre 2001 a New York le immagini di devastazione che arrivano da Beirut dopo la maxi esplosione avvenuta due giorni fa e probabilmente causata dalla detonazione di una grande quantità di nitrato di ammonio, composto chimico che viene utilizzato come fertilizzante e per costruire bombe. Per ora non c’è un bilancio definitivo di morti e feriti, anche perché ci sono ancora numerosi dispersi: si parla di decine di persone uccise, almeno 135, ha affermato la Croce Rossa del Libano, e di circa 5 mila feriti. Le informazioni sull’esplosione, inoltre, sono ancora parziali. Incidente o attentato? E che cosa conteneva esattamente il deposito in cui veniva custodito il materiale che è esploso o che è stato fatto esplodere? Anche se il Governo libanese ha parlato senza esita zioni di nitrato d’ammonio, nelle ultime ore, pur a livello di ipotesi, sono circolate diverse teorie alternative. Alcuni hanno citato per esempio le recenti tensioni tra Israele e Hezbollah, gruppo islamista sciita radicale che opera per lo più nel sud del Libano, e ipotizzato un attacco di Israele, che però tramite fonti anonime si è affrettato a smentire. Il Governo israeliano ha affermato che non commenta «notizie straniere» e ha offerto la sua assistenza al Libano tramite intermediari internazionali. «Al Arabiya», vicina all’Arabia Saudita e nemico dell’Iran alleato di Hezbollah è l’unica per ora a sostenere che il magazzino contenesse missili del gruppo sciita. Ma a rendere tutto più complicato sono soprattutto le tensioni politiche in vista del verdetto, atteso per venerdì, del tribunale internazionale incaricato dall’ONU di investigare la morte del premier sunnita Saad Hariri il 14 febbraio 2005. Rispetto a quella data oggi c’è poi un elemento in più. Il presidente siriano Bashar al-Assad è nettamente più forte e grazie al sostegno di Mosca ha schiacciato la rivolta in casa e ora sta cercando di riprendere il controllo del Libano. Neanche durante i sanguinosi 15 anni di guerra civile, dal 1975 al 1990, il Libano ha conosciuto un disastro simile, che arriva nel mezzo della peggiore crisi politica, economica e sociale che il Paese dei Cedri abbia mai conosciuto dalla proclamazione della sua indipendenza nel 1943. La guerra civile è stata in qualche modo sterilizzata dalla spartizione del potere. I tre principali incarichi - di presidente, capo del Parlamento e primo ministro - sono infatti divisi tra le tre maggiori comunità locali, ovvero cristiani maroniti, musulmani sciiti e musulmani sunniti, mentre gli stessi seggi parlamentari risultano ugualmente spartiti tra cristiani e musulmani, compresi i drusi. Tale formula non è riuscita tuttavia ad evitare tensioni e non ha neppure fatto da muro contro il dilagare di una crescente corruzione. A peggiorare una situazione al limite del collasso (in pochi mesi la lira libanese ha subito la più alta svalutazione della sua storia) lo scorso marzo è arrivata la pandemia creata dal coronavirus, in un Paese come il Libano la cui sanità raggiunge livelli d’eccellenza ma soltanto se muniti di un’assicurazione sanitaria, che ha costi molto alti e dunque non è accessibile all’intera popolazione. Come mai accaduto in passato, il Libano si ritrova oggi ad essere il Paese più isolato a livello globale e non soltanto paga il conto di politiche sbagliate, ma soprattutto la presenza di un partito-milizia, Hezbollah («Partito di Dio»), che la comunità internazionale, soprattutto Stati Uniti ed Israele, considerano un’organizzazione terroristica. Ma il peggiore incubo che gli osservatori locali e internazionali temono, è lo scoppio di una nuova guerra. Un ritorno alla guerra civile che una parte della popolazione libanese, in preda alla disperazione, vede come una «purificazione» di un corpo in fin di vita, come si presenta oggi lo Stato del Paese dei Cedri.