L’indifferenza come forma di complicità

Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
30.10.2018 04:55

di FERRUCCIO DEL BORTOLI - Assuefarsi ai segnali di intolleranza equivale a incoraggiarli. Ci si indigna sempre di meno. È un'amara verità. E, volgendo lo sguardo altrove, si finisce per considerare la violenza contro le minoranze un dato incontrovertibile del mondo contemporaneo. Un po' come se fosse normale. «Che ci possiamo fare?» sembra essere la reazione più diffusa. Le coscienze però si appannano. Gli anticorpi di una società democratica si indeboliscono. La strage di Pittsburgh, sabato scorso, è stato il più grave attacco antisemita nella storia americana. Undici persone trucidate dal suprematista bianco Robert Bowers nella sinagoga Tree of Life. Altre sei ferite. Stavano solo pregando. In molti commenti e reazioni sembra prevalere la constatazione che l'antisemitismo sia parte inevitabile della dura contrapposizione politica contemporanea. Un riflesso incidentale del più estremo sovranismo nazionalista. Se così fosse le democrazie occidentali avrebbero perso una delle loro fondamentali battaglie nell'affermazione dei diritti universali dell'uomo. Si sarebbero piegate a una sorta di appeasement nei confronti della violenza. Una discesa verso gli inferi degli anni peggiori del Novecento. Non possiamo arrenderci all'idea che nel Terzo Millennio vi siano ancora pogrom, seppur in versione aggiornata, magari nell'immensa prateria di libertà del Web.

Negli Stati Uniti si presentano alle elezioni di midterm diversi candidati su posizioni di duro estremismo, alcuni di questi apertamente collegati e sostenuti pubblicamente da esponenti e organizzazioni dichiaratamente antisemite. In una democrazia il diritto d'opinione è sacro. Ma non l'istigazione alla violenza. In qualunque forma. E via social network, magari in forma anonima, non è meno grave. Le nostalgie totalitarie sono ovviamente ineliminabili. E nella crisi economica, nella reazione alla globalizzazione e all'impoverimento dei ceti medi, trovano un certo alimento. Preoccupa un rinnovato fascino esercitato dagli estremismi, specie sui giovani, in diversi Paesi. Soprattutto nell'Europa dell'Est. Nel silenzio, tra l'altro, delle chiese locali. E inquieta, anche là dove è più forte una coscienza democratica, la modestia delle reazioni. Prevale una sorta di rassegnazione alla malattia. Intanto solo in Francia, dal 2000 a oggi, 50 mila cittadini ebrei hanno preferito emigrare. E un discreto esodo si registra anche dal Regno Unito.

Punire, per esempio il reato di negazionismo, forse non serve. Indispensabile sarebbe invece un lavoro più attento sulla memoria, sul contrasto ai veleni che la Rete sparge a piene mani investendo su formazione e qualità dei media. Il giorno prima dell'attentato a Charlottesville, l'Anti Defamation League e l'Associated Press avevano diffuso un allarmante rapporto sul negazionismo in Rete. Sono stati esaminati, nel periodo tra il 31 agosto e il 17 settembre, oltre 7,5 milioni di messaggi Twitter. La quantità e il tono delle accuse e degli insulti antisemiti era in fortissima crescita, il 30 per cento dei quali attraverso Bot, cioè in forma automatica. Anche l'assassino di Charlottsville ne aveva rilanciato qualcuno. Bersaglio preferito di questa ondata prefabbricata di odio e fake news, il finanziere di origine ungherese George Soros, identificato – esattamente come accadeva in casi analoghi negli anni Trenta – come il prototipo del rappresentante ebraico di una sorta di Spectre del denaro che avvelena l'economia e impoverisce i ceti più deboli. Questa caccia all'uomo, nella quale il capofila è il premier ungherese Viktor Orban, dovrebbe indignare e far riflettere. La propaganda antisemita sulla Rete si è servita persino di un fumetto popolare, Pepe the Frog, corpo umano con testa di rana. Convertito alla propaganda suprematista bianca nel disappunto del suo autore costretto a disconoscerlo. Utilizzato per sdoganare l'antisemitismo come forma tremendamente efficace per esprimere il proprio risentimento contro le élite e l'establishment.

Gab, la piattaforma online usata dal killer di Pittsburgh, considerata un'alternativa di destra a Facebook e Twitter, ora bloccata, diffondeva molti messaggi di odio. Un ricettacolo di neonazismo senza che nessuno sia mai intervenuto. Anni di dibattiti politicamente corretti hanno certamente compresso umori e opinioni. Si è esagerato. Ma nell'era del trionfo del politicamente scorretto, di cui il nuovo interprete è il presidente del Brasile Jair Bolsonaro, sulla scia, ma più a destra, di Donald Trump e applaudito da Matteo Salvini, alcuni dei peggiori fantasmi del Novecento passeggiano indisturbati, tra inutili distinguo e frasi di circostanza, nel panorama delle democrazie liberali in crisi e un po' smemorate. Ma anche l'indifferenza, come insegna la storia, è una forma, forse la più subdola, di complicità.