L'inno senza parole

TOC TOC di Paride Pelli
Le polemiche attorno a questi canti patriottici «da stadio» sono vecchie come il mondo
Paride Pelli
20.06.2016 02:05

di PARIDE PELLI - Cantarlo a pieni polmoni, andare di playback come Britney Spears o glissare con imbarazzata eleganza? Che devono fare gli sportivi, con questo benedetto inno nazionale? Il tormentone si ripropone con vigore retorico ogni due anni, durante Mondiali ed Europei di calcio. E ora che siamo in piena rassegna continentale, ad inizio di ogni partita l'attenzione si focalizza sul labiale dei ventidue giocatori in campo e dei VIP in tribuna: una gustosa carrellata che va dal timido mutismo di molti alle urla a squarciagola di alcuni, passando per gli ammiccamenti (sempre più frequenti, come i tatuaggi) alle telecamere, che poi, a dirla tutta, paiono essere le vere fidanzate dei calciatori. Occhiolini, finti baci, alzate di narici che fanno precipitare a «livello moquette» il momento più solenne della competizione, giusto a ricordarci che stiamo parlando di pallone, pardon di calcio.

Le polemiche attorno a questi canti patriottici «da stadio» sono vecchie come il mondo: qualcuno ricorderà che a Italia '90 il pubblico di Napoli subissò di fischi, prima della finale, l'inno argentino, scatenando l'ira di Maradona che – in mondovisione – pronunziò una frase in stile «bonjour finesse», talmente colorita che il Pibe de Oro avrebbe meritato l'affiliazione onoraria alla Camera dei Lord di Londra (tanto c'è sempre la Brexit).

Giorni fa, durante la Copa America, per un inno si è sfiorato il caso diplomatico: i giocatori dell'Uruguay – pancia in dentro e petto in fuori – pronti a intonarlo contro il Messico hanno sentito, increduli, riecheggiare quello cileno. Una svista che ha richiesto le scuse degli organizzatori, trasformatisi in novelli Grisù per spegnere l'incendio. L'apice del grottesco lo si raggiunse però a Sudafrica 2010, quando i giocatori italiani, tradizionalmente muti (al contrario di oggi) sulle note del «Mameli», furono attaccati dall'opinione pubblica. In una puntata de «Il processo del lunedì» il mitico Aldo Biscardi (quello che ogni notizia è uno «Scgub») se ne uscì con una dichiarazione critica e tranchante. «Che vergogna, solo i nostri giocatori e quelli spagnoli non cantano l'inno!».

Qualcuno, tra gli ospiti, gli sussurrò che la «Marcha Real» non ha un testo e non può essere cantata. Il povero Biscardi, preso in contropiede, diventò rosso, come i suoi capelli. Ma di vergogna.