Cultura

L’insostenibile leggerezza della cultura simpatica

L’editoriale di Matteo Airaghi
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Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
18.02.2022 06:00

Un inquietante parallelepipedo di carta. Duemilaottanta densissime pagine con (per la prima volta in un’edizione italiana) testo a fronte completo di varianti a stampa e manoscritte, un apparato critico impressionante fatto di quattro corpulenti saggi tematici e un fluviale commento, implacabile e rigoroso, in cui si spiegano allusioni e fonti di uno dei testi più inaccessibili della letteratura europea del Novecento. Eppure l’Ulisse di Joyce curato dal formidabile Enrico Terrinoni, pubblicato in occasione del centenario del capolavoro dublinese, è stato spazzato via anche dai magazzini della Bompiani nel breve volgere di qualche giorno. E questa, senza crearsi ingenue illusioni e fatte salve le copie che finiranno inevitabilmente a prendere polvere sugli scaffali di chi vuol soltanto sentirsi snobisticamente à la page, è in fondo una notizia. Anzi è confortante interpretarlo come un minuscolo ma significativo segnale in controtendenza rispetto all’angosciante involuzione in atto in ambito culturale e nei meccanismi, mediatici e non solo, della diffusione della conoscenza. Per una ragione semplicissima: l’Ulisse di Joyce non è simpatico, anzi. Lo sterminato ma fondamentale romanzo è un complicatissimo e ostile labirinto a metà strada tra la noia mortale e il crudele supplizio medievale che non lascia scampo all’ingannevole equivoco da cui, come andiamo ripetendo da anni, è afflitta la comunicazione culturale del nostro tempo. Vale a dire quello dell’approccio simpatico, leggero, ludico e seducente che tutto quanto si ammanti dell’imprescindibile aura di “vagamente culturale” cui tutti ormai ambiscono impone come categoria e impronta di riferimento. In una società che continua a fingere che tutto è per forza cultura (e quindi, si potrebbe obiettare, che nulla lo è) o peggio che tutto possa essere cultura allo stesso modo e con lo stesso valore, la panzana più subdola è proprio quella della simpatia. Guai oggi a chi dovesse insinuare che il dogma imperante dell’antintellettualismo obbligatorio e di maniera è pian piano diventato un facile cliché per mascherare la cronica pigrizia di pensiero nonché un alibi di comodo per essere non “poco intellettuali” ma tristemente “poco intelligenti”. E allora, lo ripetiamo una volta di più, forse qualcuno si sta accorgendo che la cultura è molto spesso divertente, appassionante, fondamentale per crescere come individui e come cittadini liberi capaci di avere una visione d’insieme della realtà in una società davvero democratica ma non può sempre essere simpatica, ludica, scanzonata e indolore. E non è affatto questione di cultura alta o bassa, elitaria o popolare, dalla “Divina Commedia” a Tex Willer, ogni analisi seria che intenda trasmettere conoscenza stimolando curiosità e approfondimento e che riguardi un argomento che abbia davvero valore culturale richiederà un minimo di attitudine, di impegno, di tempo, di disponibilità all’ascolto, insomma di fatica intellettuale. Altrimenti è meglio lasciar perdere e non spacciare per “impegnati” frizzi e lazzi che lasciano il tempo che trovano. Comprimere, abbassare, edulcorare, smussare, alleggerire, facilitare in ambito di divulgazione culturale spesso può essere necessario in qualche caso persino utile ma bisogna sapersi porre dei limiti oltre i quali la natura stessa dell’argomento trattato finisce col perdere ogni significato trasformandosi in vana e fuorviante pantomima. Con il rischio paradossale di scontentare tutti, come certe infelici proposte televisive o radiofoniche dal taglio simpatico, “gggiovane” e anticonformista rendono evidente, anche alle nostre periferiche latitudini. Con buona pace dell’audience e delle fette di mercato, infatti, chi ha le sinapsi esauste dopo quattro righe di Wikipedia continuerà a vivere ignaro nella sua illetterata beatitudine ma anche chi (perché incredibilmente ne esistono ancora) da una qualsivoglia intermediazione culturale pretenderebbe densità di contenuto, qualità, competenza e approccio corretto si sentirà a giusta ragione tradito o preso in giro. Così mentre abbiamo la fortuna di attraversare un’epoca di straordinarie potenzialità in cui la diffusione dei saperi e l’accesso al patrimonio culturale di ogni tempo non è mai stato tanto facile, economico e alla portata di chiunque semplicemente lo desideri ci troviamo impantanati nel gorgo di una nuova pericolosa ignoranza figlia della pigrizia, dell’ignavia e dell’ineducazione. Senza dimenticare che se nel nostro simpatico (?) smartphone c’è tutto, nei meno simpatici libri e nella vita reale c’è ancora tutto il resto.