L’invisibile presenza dei cattivisti

di CARLO SILINI - Ci avete fatto caso? Si parla spessissimo della vacuità del buonismo, della sua miopia politica, della sua incapacità di porsi in modo responsabile di fronte ai grattacapi del mondo. Ma non si parla mai di cattivismo, che a nostro modo di vedere è un vizio speculare altrettanto presente (anche se ne troviamo traccia praticamente solo nei vocabolari). Eppure uno spazio mediatico il termine lo meriterebbe. È vero che non se ne può più del buonismo. Va detto più per amore della lingua italiana che del concetto in sé. Troppo facile prendere un termine qualsiasi – come «buono», appunto – e mettergli in coda il suffisso «ismo», per farlo diventare una cosa bruttina e avvilente. Quasi ogni «ismo» produce lo stesso effetto sulle parole: intellettualismo, snobismo, dilettantismo, eccetera. Ma l'idea di buonismo ha un suo fascino: indica la caratteristica attitudinale di quelle persone che tendono a vedere il mondo in generale e i problemi in particolare col filtro rosa dell'ottimismo (ecco un altro «ismo»). E così, il buonista è un moderno sognatore che di fronte ai numeri inquietanti dell'immigrazione di massa è capace di dirti che va tutto bene, beato lui. Perché il buonista, di qualsiasi fede o partito sia, sembra appartenere alla ristretta tribù di quanti credono ancora nell'utopia, un termine che fa venire l'orticaria a quanti pensano che non vaga la pena di cercare un paradiso angelico, un regno di giustizia o un paese della cuccagna. Perché secondo loro non esiste. Normale, quindi, che non avendone di loro i «non buonisti» tendano a negare i sogni utopici degli altri. Dei migranti in primis, anche perché di solito coincidono col loro ben curato giardino. Il problema è che se neghi dignità ai buonisti a prevalere non sono i realisti, quelli che magari insieme alle opportunità date dall'arrivo di numerosissimi stranieri riconoscono una quantità di problemi che vanno risolti. No. Prevalgono i cattivisti. Mai sentiti nominare? Questo è il problema. Perché oggi chi osa dire che il fenomeno migratorio non è «solo» un problema passa per buonista e chi afferma l'esatto contrario – e concettualmente anche questa è una deformazione della realtà – non viene mai bollato come cattivista. In assenza di teorie sociologiche sui cattivisti proviamo a delinearne noi le caratteristiche principali. Se il buonista è utopico, il cattivista è distopico. Distopia è un termine che significa, grossomodo, il contrario di utopia. Una società distopica è spaventosa e altamente indesiderabile. Per il cattivista, quindi, lo spavento sembra essere il motore politico del mondo. Dice bene Salil Shetty, segratario generale di Amnesty International (AI), quando nell'introduzione dell'ultimo rapporto annuale di AI da poco presentato parla di una «narrazione dei fatti intrisa di colpa, paura e ricerca di carpi espiatori». Una narrazione che in ogni ombra che si muove nel piazzale dietro casa vede nel migliore dei casi lo scassinatore delle villette, nel peggiore il giovane jihadista pronto ad azionare la cintura esplosiva (e nell'uno e nell'altro caso si tratta comunque di stranieri). Ecco: il buonista è come il bambino che crede sempre alle favole belle e il cattivista è come il bambino che crede sempre alle ombre nere che si disegnano sul muro della cameretta. Ai buonisti è bene ricordare che non ha senso accogliere più persone di quante un Paese è poi in grado di integrare nella propria società e che è miope far finta di non vedere che anche alle nostre latitudini c'è chi finanzia l'odio contro l'Occidente. Ai cattivisti va consigliata la lettura dell'ultimo rapporto di Amnesty International con l'invito a chiedersi chi è veramente assediato: noi che i flussi dei profughi li vediamo soprattutto in salotto dalla tv e anche quando sono a pochi chilometri da casa nostra sono circoscritti ai centri di confine e molto raramente degenerano in rissa, o gli abitanti di Aleppo o di Mosul che sussurrano angosciati nei sotterranei delle loro città e quando escono sperano di non finire nel mirino di un cecchino.
Ora, se è vero – perché è vero – che i furti in casa ci sono, eccome, e che qualche aspirante martire dell'ISIS purtroppo circola anche da noi, è altrettanto certo che qualcuno gioca a ingigantirne le immagini, come si fa coi bambini proiettando l'ombra del lupo sulla parete della cameretta posizionando le dita in un certo modo davanti alla candela.
La realtà però – sarà «banalista» dirlo – sta nel mezzo: tra il sogno e l'incubo. Quando si sentono discorsi che parlano di un'Europa sotto assedio, per esempio, l'atteggiamento intellettualmente sano non è né quello di negare gli scompensi che il forte afflusso di stranieri comporta, né quello di assolutizzare il senso di allerta come se ci trovassimo a pane e terrore dietro le mura di una cittadella medievale bombardata dalle catapulte.