Lo sport è politica

Il rapporto divulgato ieri da Reporter Senza Frontiere, secondo cui 488 operatori dell’informazione, che per comodità chiameremo giornalisti, sono incarcerati nel mondo per aver detto scomode verità ed essersi opposti a vari governi, non fa che gettare benzina sul fuoco della polemica che divampa a poche settimane dalla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici invernali assegnati dal CIO alla Cina. Eh sì, perché, guarda caso, ben 127 di questi giornalisti abitano le poco ambite e inospitali prigioni del regime di Xi Jinping.
La logica (perversa) delle organizzazioni sportive dice che bisogna separare sport e politica e nel nome di questa «filosofia» può dunque accadere che il Comitato Olimpico Internazionale assegni le Olimpiadi alla Cina e la Federcalcio mondiale i Campionati del mondo al Qatar, esattamente come è successo in passato con la Russia di Putin, omaggiata di Mondiale calcistico e Olimpiadi invernali nel giro di quattro anni.
Che lo sport non debba centrare nulla con la politica è una gran castroneria, una balla solenne che ci raccontano le autorità dello sport, più interessate ad aprire nuovi mercati e a stabilire relazioni amichevoli coi potenti, piuttosto che a promuovere gli autentici valori sportivi. Del resto, basta guardare la storia dei grandi eventi dello sport per capire che la politica ha spesso, se non sempre, recitato un ruolo a margine delle competizioni. E senza scomodare il fantasma delle Olimpiadi naziste del 1936 o il grande boicottaggio dei Giochi di Mosca del 1980 o, ancora, i Mondiali di calcio del 1978 in Argentina.
È consuetudine che la politica cerchi di sfruttare lo sport come una vetrina, ma la questione assume contorni più marcati e persino disgustosi quando di mezzo ci sono regimi totalitari. Persino decisioni coraggiose e sagge, come quella della Federazione internazionale di hockey su ghiaccio che all’inizio dell’anno tolse l’organizzazione dei Mondiali alla Bielorussia del presidente-dittatore Lukaschenko, vengono vendute edulcorate: nel caso specifico, giustificando il provvedimento si parlò di dubbi legati alla sicurezza e alla protezione dal coronavirus...
Di fatto, oggi crescono - giustamente - le perplessità del popolo degli sportivi di tutto il mondo sull’opportunità di regalare alla Cina una vetrina internazionale prestigiosa come le Olimpiadi. La diplomazia a sua volta si è già messa in moto, ma - appunto - solo sul piano diplomatico, annunciando assenze importanti delle autorità, partendo da quelle degli USA, della Gran Bretagna e dell’Australia.
Il CIO però tace e liscia il pelo dell’orso Xi Jinping, col presidente Thomas Bach che ha liquidato la questione dicendo che non ci deve essere strumentalizzazione sui Giochi Olimpici. Occorre avere il coraggio di dirlo chiaramente: una vergogna per il movimento olimpico e per tutto lo sport, che in quanto fenomeno di straordinaria importanza deve maturare la consapevolezza di essere invece uno strumento di lotta contro quei regimi, come quello cinese, che imprigionano i giornalisti dissidenti, limitano le libertà individuali, da anni perseguitano le minoranze, in questo caso non rispettano gli accordi sull’autonomia di Hong Kong e mettono persino il bavaglio ad atleti di fama internazionale come la tennista Peng Shuai. La storia di costei è affiorata recentemente, suscitando la sdegnata risposta della WTA che ha deciso di cancellare tutti i tornei previsti in Cina e a Hong Kong nel 2022, una decina, tra cui le WTA Finals che inizialmente erano previste a Shenzen fino al 2030 in cambio di una vagonata di euro. Il CIO invece non vede, non sente e parla senza vergogna.