Situazioni, momenti, figure

Lo stadio e la nostalgia

Martedì a San Siro c’erano quasi 60.000 persone: non per una partita, ma per il concerto di quanto resta dei Rolling Stones
©Daniel Dal Zennaro
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
23.06.2022 20:51

Martedì a San Siro c’erano quasi 60.000 persone. Non per una partita ma per il concerto di quanto resta dei Rolling Stones. Mick Jagger ha quasi ottant’anni. Attirano ancora, e non solo i nostalgici. Su alcuni canali televisivi fra storia e costume si susseguono le rievocazioni di cantanti e protagonisti dello spettacolo che raccolgono un vasto pubblico che preferisce le fiabe musicali ai delitti e castighi che sugli schermi sovrabbondano. L’Equipe 84, che entusiasmò anche i meno giovani, conquistò gli italiani che ebbero così i loro Beatles, anche se loro volevano assomigliare più ai Rolling Stones. Quei quattro giovanotti di Modena avevano brani delicati, mentre il rock duro degli Stones era piuttosto lontano dalle loro accarezzanti melodie senza fratture. Degli Stones avevano il disordine apparente e multicolore delle fogge. Quattro caratteri, quattro personalità, quattro estri che si offrivano già come spettacolo visivo. Maurizio Vandelli, che chiamavano il principe, con la folta capigliatura dai ricciolini fitti sembrava uscito da un libro di storia antica ed era quello che colpiva di più. Era alto, come il bassista Victor Sogliani, e contrastavano con il batterista Alfio Cantarella che seduto o in piedi misurava la stessa altezza. Franco Ceccarelli sembrava estraneo e sembrava vivere per conto proprio ma era la forza musicale del gruppo. Facevano scena. Alzavano le braccia in un identico gesto alla fine di ogni brano, si muovevano con abile coreografia e giravano per l’Italia a fare eventi. Furono i primi con i Rokes e i Giganti a cambiare le forme dei concerti. Comprarono una Rolls Royce per accrescere l’impatto fantastico e fuggivano subito dopo i concerti. Se non avessero fatto una grande musica sarebbero stati l’apoteosi della provincia inurbata. Fra poesia e spettacolo hanno fatto compagnia a una generazione. Gli anni passano e non tutti i ricordi restano. Riappaiono le avventure degli anni settanta, quando fummo anche noi ragazzini. Riappaiono così figure e fatti dimenticati o accantonati dalle mode, dalla vita che scorre, dalla storia che si allunga e che, portando il nuovo, piano piano cancella il vecchio o lo rimuove. Quando si ricordano cantanti e gruppi, vedendone alcuni dimenarsi in televisione sembra trascorso un secolo, forse un’era. Maurizio Vandelli si muove in bianco e nero col suo gruppo rievocato dalla tv a colori. E chi se lo ricordava? Appartiene all’archeologia del costume. Di tanto in tanto qualche rete radiofonica ne recupera un brano, mescolato al nuovo, o in miscellanee di età diverse. Rivederli consola un pochino, nella malinconia dolce del ricordo di amori e occhi di ragazze, di balli non più stretti o di goffo divincolarsi nelle prime discoteche, che presero il posto delle balere. Ce ne sono ancora, tanti, ma Patty Pravo o Little Tony, ad esempio, sono proprio lontani. Si sono allontanati anche Lucio Dalla e Lucio Battisti, appena rievocati in tv dove ogni tanto rispunta anche De André. E così si ricordano i gruppi che ci furono più cari. Alcuni anni or sono curai una serie alla RSI con il poeta Maurizio Cucchi che con una suadente capacità rievocativa ne raccontò storia e canzoni, non prive di una poetica sentimentale. Con Mina dall’altra parte, innovativa e piacente, gruppi e nuovi cantautori avevano cambiato il mondo musicale italiano che aveva in Domenico Modugno l’ultimo eroe. Come fra i Beatles e i Rolling Stones anche fra i gruppi italiani c’erano rivalità e antagonismi ma piacevano tutti. Gli antagonisti, i rivali, l’opposta tendenza, sono un capitolo della storia del costume ovunque fra anni Sessanta e Settanta, con il protagonismo, la spettacolarità, la provocazione in tutte le forme lecite ma anche più azzardate, come la prima droga, e l’alcool. Erano irruenti e dolci al contempo, scomposti ma rigorosi nella loro creatività, come i Rolling Stones, dei quali basta il nome per raccogliere una storia che fu un’epopea e fa parte della storia incancellabile. Primi e secondi al contempo, mai tramontati, neanche quando la sorte li separò. E fra loro in tv affiora il protagonista principale che era una star anche da solo, Mick Jagger, fermo là, come Janis Joplin o Jimi Hendrix, Joan Baez, Bob Dylan o John Lennon, medaglie d’oro di una campagna di pace ormai lontana. Coraggiose, anche le ragazze di buona famiglia andavano gioiose ai loro concerti e il bianco e nero della televisione dette loro un’aura di perbenismo che annacquò l’aceto o l’agrore di quegli anni di contestazione.