Lo stesso smarrimento del 1914

Gerardo Morina
Gerardo Morina
03.05.2014 06:00

di GERARDO MORINA - Il tempo passa, ma anziché portare soluzioni si rivela carico di complicazioni per la crisi creatasi tra Mosca, Kiev e l'Occidente. Sinistri venti di guerra soffiano nell'Est dell'Ucraina. Kiev ha ripreso ieri quella che definisce un'operazione «antiterrorismo» contro i separatisti filo-russi. Per il Cremlino si tratta di un'operazione «punitiva», tale da «distruggere le ultime speranze per l'attuazione degli accordi di Ginevra». Ma le ragioni non sono univoche. La realtà vuole che a distanza di sole due settimane  l'intesa firmata sul Lemano da Stati Uniti, Russia, Ucraina e Unione europea sia ormai lettera morta e nessuna delle parti coinvolte sia pronta  a rispettarne le clausole. Gli accordi parlano chiaro: «Tutte le parti in causa devono evitare ogni violenza, intimidazioni o atti provocatori. I partecipanti condannano con forza e respingono ogni espressione di estremismo». È il contrario di ciò che avviene, con Kiev che non si distanzia abbastanza dagli estremisti, che nulla hanno a che fare con i genuini difensori del suolo ucraino, e Mosca che non esita a dotare di lanciarazzi portatili i simpatizzanti filorussi. A Ginevra si sperava che la clausola più importante degli accordi («L'annunciato processo costituzionale deve essere inclusivo, trasparente e verificabile. Dovrà comprendere l'immediata ripresa di un ampio dialogo nazionale, che includa tutte le regioni e i collegi politici dell'Ucraina e preveda la possibilità di pubblico dibattito e proposte di emendamento») servisse da stimolo per una graduale soluzione da attuare per via diplomatica. Niente di più lontano. Si potrebbe dire che non c'è principio che tenga, ma tutto sia abbandonato all'improvvisazione, a cominciare dal diritto internazionale, invocato sia da chi nega la legittimità del referendum e della secessione della Crimea sia da chi vuole giustificare l'intervento armato. In un articolo scritto per l'ultimo numero della rivista «Limes», l'esperto di rapporti internazionali Leonardo Bellodi scrive: «La confusione giuridica è totale e non è semplice stabilire chi, in punto di diritto internazionale, abbia torto o ragione. Forse, come spesso accade nelle relazioni internazionali, il diritto darà ragione al vincitore, ovvero a chi riuscirà a consolidare la situazione di fatto che si è creata».
L'Occidente si è mobilitato e tende, diversamente da Putin, ad escludere un intervento armato. I toni adottati sono forti, le misure deboli, le sanzioni «intelligenti», ovvero volte a colpire Putin e il suo entourage ma a minimizzarne gli effetti per i comuni cittadini russi.Fin quando si può la parola d'ordine, in America e in Europa, è «de-escalation». Ma siccome non vi sono segnali sicuri che tutto ciò possa essere abbastanza, l'Occidente si sente nudo di fronte alla mancanza di un vero quadro di sicurezza collettiva (nonostante istituzioni come la NATO, l'ONU, l'UE, l'OSCE). Quadro che dava per scontato e sufficiente in un mondo che, dopo la caduta del comunismo, a Francis Fukuyama nel 1992 pareva essere giunto alla «fine della storia».
È, in fondo, lo stesso smarrimento che il mondo provò nel luglio del 1914, alla vigilia di quel terribile Primo conflitto mondiale sul quale ieri si è concentrato  l'editoriale del direttore del nostro giornale Giancarlo Dillena. Anche allora il mondo si illudeva di essere al sicuro. Rovistando nella storia del tempo, nel 1913 si contavano 169 organizzazioni internazionali, rappresentate da 22 Governi. Nel 1915 era stato programmato un Congresso, ma lo scoppio della Grande Guerra ne rese inutile la convocazione. All'origine una scintilla apparentemente minuta: l'assassinio dell'erede al trono d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando avvenuto il 28 giugno del 1914 a Sarajevo. Il fuoco divampò, in un domino trascinante di fiamme. È ovvio che non è detto che la storia si ripeta sempre. Ma occorre essere vigili e gettare abbondante acqua soprattutto sui focolai che sembrano insignificanti.