L’obbligo di servire deve avere dei limiti

L’obbligo, rivolto alle donne, di partecipare in futuro alla giornata informativa dell’Esercito e della protezione civile è stato visto da molti come un tentativo di influenzare la campagna di voto per l’iniziativa Servizio civico. E in parte è vero. Il «ministro» della Difesa Martin Pfister e il Consiglio federale, uscendo allo scoperto a un paio di settimane dall’appuntamento alle urne, hanno messo sul tavolo una strada alternativa per promuovere lo spirito di servizio e le pari opportunità, senza dar vita a una vera e propria riforma che appare allettante, ma che nasconde varie insidie nella possibile attuazione pratica. In particolare dal profilo dei costi. Per Pfister, la Confederazione e l’economia non possono permettersi di raddoppiare il numero delle persone chiamate in servizio.
Attualmente, per quanto riguarda i potenziali coscritti, si passerebbe dagli attuali 30-35 mila a 70 mila all’anno. A preoccupare sono soprattutto i costi che ricadranno sull’economia e sullo Stato, derivanti dalle assenze dal posto di lavoro e dal raddoppio delle indennità per perdita di guadagno (a circa 1,6 miliardi di franchi all’anno) e delle uscite per l’assicurazione militare (a circa 320 milioni). La Svizzera, inoltre, non avrebbe bisogno di un numero così elevato di giovani adulti in servizio. Eppure, il collaudato impianto di protezione e di sicurezza della Confederazione scricchiola. Il problema è noto da anni: la protezione civile, che dovrebbe essere in prima linea in caso di crisi e catastrofi, non ha risorse sufficienti. A inizio anno, i militi effettivi erano circa 57 mila, contro l’obiettivo fissato di 72 mila. L’Esercito, dal canto suo, conta circa 147 mila incorporati: un numero superiore all’effettivo reale di 140 mila persone fissato per legge. Solo pochi giorni fa, però, il DDPS ha reso noto che «nei prossimi anni l’effettivo non consentirà di garantire un apporto di personale sufficiente per i corsi di ripetizione, soprattutto a causa delle partenze anticipate». Per colmare queste lacune, la politica ha deciso di puntare su un peggioramento del passaggio dal servizio militare a quello civile (l’inasprimento è ora oggetto di referendum da parte della sinistra) e al contempo di garantire più effettivi alle forze armate.
Consiglio federale e Parlamento per il momento si limitano anche ad applicare cerotti per frenare l’emorragia di effettivi nei ranghi della protezione civile. Serve una vera riforma? Probabilmente sì, ma le ricette divergono e per il Governo il servizio civico per tutti non è un’opzione praticabile. Il DDPS, dal canto suo, sta valutando da anni modelli alternativi per garantire il futuro apporto di personale, tra cui l’obbligo di prestare servizio di sicurezza attraverso una nuova organizzazione - unendo protezione civile e servizio civile – volta a proteggere la popolazione contro le catastrofi. L’iniziativa servizio civico, che si inserisce di fatto anche in questo dibattito, ha un pregio: quello di rimettere in discussione il sistema e spingere sempre più giovani adulti, nell’era dell’individualismo, a impegnarsi per la comunità. L’obbligo di servire deve però avere dei limiti e un «volontariato forzato» esteso alle donne e forse anche ai cittadini stranieri non è la risposta. Su questo punto, aleggia anche una possibile violazione del divieto di lavoro forzato previsto dal diritto internazionale. L’idea di fondo, per quanto buona e lodevole sulla carta, si inserisce in un contesto geopolitico deteriorato. E oggi, un esperimento sul sistema di milizia appare più come un azzardo.
La proposta, sostenuta da singoli elementi di spicco ma sprofondata nei sondaggi, è stata seccamente respinta da tutti i partiti ed è vista come il fumo negli occhi tra chi ritiene che si «militarizzi» la società e chi invece pensa che l’iniziativa abbia come conseguenza un futuro indebolimento dell’esercito. Un totale cambio di sistema, con un lungo elenco di possibili attività (sarà il Parlamento, in caso di sì alle urne, a stabilirlo) da compiere durante il servizio, non solo creerà grattacapi a esercito e protezione civile, ma potrebbe esporre i salari di molti lavori già oggi poco o mal retribuiti (ad esempio nel settore dell’assistenza e delle cure, dove la quota di donne è elevata) a una pressione ancora maggiore. Anziché promuovere l’uguaglianza, la riforma dell’obbligo di servire potrebbe penalizzare ulteriormente le donne.
